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Caso Antoci, Fava: "Di mafia non c'è traccia nelle indagini"

Claudio Fava

"Siamo rimasti tutti abbastanza stupiti e anche un po' delusi dalla reazione di Antoci perché ci saremmo aspettati parole di gratitudine e non sentire definire questa relazione 'vergognosa'. Anche perché la stessa relazione contiene parole di grande apprezzamento per il lavoro che lui ha svolto". Così il presidente della Commissione regionale antimafia Claudio Fava, a Palazzo dei Normanni, tornando sulla recente relazione conclusiva dell'indagine sull'attentato subito dall'allora presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, la notte tra il 17 e il 18 maggio 2016. All'incontro con la stampa, presenti anche i consulenti l'ex direttore della Dia, Tuccio Pappalardo, e l'ex presidente del Tribunale di Catania, Nicola Di Marco. Nelle conclusioni della relazione votata all'unanimità dalla commissione, delle tre ipotesi formulate (un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione) proprio "il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile", a giudizio dell'organismo. Una conclusione poco gradita dallo stesso Giuseppe Antoci che, a caldo, si è detto "basito di come una Commissione possa arrivare addirittura a sminuire il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la Dda di Messina e le Forze dell'Ordine hanno portato avanti senza sosta".

"Mi preme correggere il signor Antoci su una inesattezza - ha proseguito Fava - questa commissione non ha letto né acquisito o utilizzato alcun anonimo o lavorato su dicerie. Tutto il lavoro è stato fatto utilizzando atti messi a disposizione dall'autorità giudiziaria. Abbiamo raccolto dati e fatti oggettivi e abbiamo messo insieme tutte le testimonianze che la commissione ha ascoltato". Infine, ha tenuto a precisare Fava, "la commissione ha concluso il proprio lavoro sottolineando che delle tre versioni attraversate dal lavoro investigativo, la meno plausibile appare quella dell'attentato mafioso con intenzione stragista. Ma non troverete in nessun punto della relazione - ha sottolineato - che sia presentata come più plausibile l'ipotesi della simulazione".

"Voglio essere chiaro, se dalle indagini dovesse emergere che si è trattato di una vera messinscena non siamo di fronte a un 'mascariamento' ma di reati. E se le indagini dovessero arrivare a questa conclusione, Antoci dovrebbe sentirsi 'mascariato' semmai da chi ha simulato a suo danno cose che poi non sono mai accadute". Secondo Fava: "se l'ipotesi di messinscena dovesse rilevarsi vera ci sarebbero della responsabilità in capo ad alcune persone presenti su luogo del presunto attentato - ha proseguito Fava - in particolare di un funzionario e di tre agenti della polizia di Stato: è chiaro che la simulazione avrebbe dovuto avere la disponibilità operativa di almeno tre persone presenti sul luogo. In questo caso, se venisse dimostrata una messinscena, Antoci sarebbe vittima di chi l'ha architettata", ha concluso.

"Tracce della presenza della mafia non ce ne sono nelle indagini. Non c'è traccia negli accertamenti svolti nei confronti dei 14 indagati, nei rilievi del dna, nelle intercettazioni telefoniche. Non c'è traccia attorno a questa vicenda di persone che possano essere riferite alla mafia. A parte quelle individuate quella sera e che sono state tutte sottoposte a un vaglio severissimo. La ragione per cui si arriva a questo risultato e' una conclusone di necessita' sulla quale, forse, l'autorità giudiziaria si sarebbe dovuta esercitare di piu' dal punto di vista dell'esame investigativo". "Secondo me la mafia se ne frega assolutamente - aggiunge Antoci - anche perché se stiamo ai semplici fatti, una settimana dopo l'attentato c'è la pronuncia sui ricorsi di chi ha subito l'interdittiva, che sono stati tutti respinti. E di certo quell'attentato mafioso non è stato utile. Se parliamo invece Cosa nostra, intesa come organizzazione criminale più concreta delle cosche dei pascoli dei Nebrodi, non credo ci siano ragioni risentimento - conclude - semplicemente se ne frega".

Nel corso delle audizioni "ci è stato rivelato che durante le indagini - ha proseguito - c'è stata leggerezza da una parte e, dall'altra, anche imbarazzo che ci è stato confermato da diversi funzionari di polizia". In particolare, Fava ha posto l'attenzione sulle contraddizioni emerse tra "le ricostruzioni diametralmente diverse" rese dall'ex vice questore della polizia di stato, Mario Ceraolo, e da Daniele Manganaro, ex dirigente del commissariato di Sant'Agata di Militello. "In effetti le indagini sono state troppo lasche - ha ribadito - e le modalità di comportamento della scorta inconsuete. Questo è venuto fuori tre anni dopo l'attentato, ma se tutto questo fosse emerso nell'immediatezza delle indagini, noi crediamo che qualche elemento in più si sarebbe potuto ottenere".

"Le indagini indirette, quelle del secondo momento rispetto all'attentato, sono state condotte a mio avviso esaustivamente. Ci sono state intercettazioni ambientali, telefoniche e tutto questo non ha condotto a nulla. E legittimamente è stata richiesta l'archiviazione. Ma se facciamo un passo indietro, alle indagini dirette, io dico che l'isolamento e la scarsa luce di quei luoghi e delle modalità dell'attentato hanno un linguaggio muto ai quali bisogna dar voce". A dirlo, a Palermo, l'ex direttore della Dia, Tuccio Pappalardo, uno dei due consulenti della Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava. "Le voci dei fatti che attengono alla dinamica dell'attentato avrebbero meritato ulteriori approfondimenti - ha ribadito - e una richiesta di archiviazione mi fa dire che quei fatti non sono stati ritenuti nella debita considerazione".

Intanto la morte di due poliziotti coinvolti nel "caso Antoci" è rientrata negli atti dell'inchiesta della Commissione regionale antimafia sull'attentato subito dall'allora presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Si tratta del sovrintendente Calogero Emilio Todaro (detto Rino) e l'assistente capo Tiziano Granata, morti a distanza di un giorno l'uno dall'altro: Granata il primo marzo 2018 per arresto cardiocircolatorio, Todaro, l'indomani, a seguito di una leucemia fulminante. Una coincidenza ritenuta, si legge nella relazione dell'Antimafia, "per lo meno strana" anche da Antoci tanto che anche il procuratore di Patti ha ribadito che "se un domani si alza un collaboratore che ci viene a dire x o y, sono sicuro che la procura di Messina sarà la prima a riaprire eventuali indagini". I due erano tra i più fidati collaboratori del vicequestore Daniele Manganaro, tanto che Granata si trovava alla guida della sua automobile la sera dell'attentato ad Antoci mentre Todaro intervenne poco dopo in qualità di responsabile della sezione di pg del Commissariato di Sant'Agata e poi svolse delle indagini sull'agguato, in co-delega con la Squadra mobile di Messina. Durante le audizioni la Commissione ha scandagliato le attività dei due poliziotti, ascoltando anche la compagna di Granata, Lorena Ricciardello, che ha sollevato alcune perplessità "sul fatto che si tratti di due decessi per cause naturali"

 

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