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Mafia, il caffè dei boss tra Milano e Palermo: sei arresti e sequestri

Le mani della mafia a Palermo nella produzione e nella distribuzione di caffè. Sono sei gli arresti eseguiti dai finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziario di Palermo, in collaborazione con lo Scico-Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata, coordinati dalla locale procura della repubblica-direzione distrettuale antimafia, per un provvedimento emesso dal tribunale di Palermo, sezione del giudice per le indagini preliminari.

L'indagine riguarda una presunta attività di riciclaggio e di reimpiego dei soldi da parte della famiglia mafiosa dell'Acquasanta. Oltre ai due fratelli Fontana, Rita e Giovanni di 30 e 41 anni, sono finiti in carcere il commercialista Filippo Lo Bianco di 54 anni, Gaetano Pensavecchia, 58 anni, imprenditore del caffè, Michele Ferrante, 36 anni, e Domenico Passarello, 43.

Nel corso dell'operazione è scattato anche il sequestro preventivo di due società. Si tratta di due aziende che operano nel settore del commercio del caffè: si tratta della Cafè Moka Special di Gaetano Pensavecchia & C. S.n.c. e della Masai Caffè S.r.l., entrambe con sede e stabilimenti a Palermo.

L'indagine, delegata dalla Dda della Procura della Repubblica di Palermo, ha consentito di portare alla luce una vera e propria organizzazione finalizzata a gestire gli investimenti della famiglia mafiosa dei Fontana di Palermo, della zona Acquasanta Arenella, i cui vertici erano appena usciti di galera e si erano stabiliti a Milano. Uno dei settori in cui il denaro sarebbe stato riciclato è quello della produzione e distribuzione del caffè. Un business che si sarebbe concretizzato nell'asse Palermo-Milano.

Determinanti le dichiarazioni rese da due collaboratori di giustizia, Vito Galatolo e Silvio Guerrera sulle attività di riciclaggio e reimpiego praticate dalla famiglia mafiosa dell’Acquasanta–Arenella.

Gli inquirenti hanno scoperto che gli arrestati usciti dal carcere vivevano a Milano e avrebbero reinvestito il denaro probabile frutto di attività illecite come quelle delle estorsioni nella ditta di caffè palermitana. Secondo le prime indiscrezioni degli inquirenti dietro alla ditta che produceva caffè Masai, c'erano i proventi delle due famiglie mafiose. Durante le perquisizioni a casa degli arrestati i finanzieri hanno trovato grandi somme di denaro e gioielli. Gli odierni arrestati non avrebbero dovuto avere un tenore di vita così agito, perché sottoposti a misure di prevenzione patrimoniali.

Le attività di esecuzione delle misure cautelari reali e personali vedono impegnati oltre un centinaio di militari del nucleo Pef di Palermo, con il supporto dello Scico di Roma, del Nucleo Pef di Milano, dei Gruppi di Milano e Palermo. Nell'operazione sono state impiegate anche le unità cinofile e un elicottero della sezione aerea di Palermo comando provinciale Palermo.

LE INDAGINI. La famiglia dell’Acquasanta-Arenella, capeggiata in passato dal boss Stefano Fontana, è stata nel tempo determinante negli assetti di “Cosa Nostra” a Palermo, alleandosi con i Madonia di Resuttana e con Salvatore Biondo di San Lorenzo. Tra gli affari spiccano investimenti di denaro accumulato con il traffico degli stupefacenti nel settore dell’edilizia privata e nel controllo capillare e occulto dei subappalti ai Cantieri Navali di Palermo.

Secondo quanto sostenuto dai finanzieri del nucleo di polizia economico e finanziario Giovanni Fontana avrebbe investito a partire dal 2014 ingenti provviste dell'attività mafiosa della famiglia dedita, tra l'altro, alla "pratica della riscossione a tappeto delle attività estorsive nella zona di competenza", fra i 150 e i 300 mila euro, nella società Cafè Moka Special di Gaetano Pensavecchia. Soldi utilizzati per avviare una lucrosa attività di produzione e vendita di caffè e realizzare un nuovo impianto produttivo in zona Partanna Mondello. "Gaetano Pensavecchia era consapevole del fatto che i Fontana - dice il comandante del nucleo di polizia economico finanziario della Guardia di Finanza Cosmo Virgilio - come diceva nelle conversazioni intercettate sarebbero rimasti sempre soci anche dopo la restituzione del capitale iniziale investito".

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