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Mafia all'ippodromo di Palermo, il racconto del pentito: "Così le corse erano truccate"

«Perché sia possibile alterare il risultato di una gara - scrive il gip - occorre indurre i fantini che vi partecipano a collaborare». «Non si tratta di una meccanica semplice, ma complessa ed articolata cui si può giungere soltanto per effetto di un intervento molto forte - spiega il magistrato - Le indicazioni acquisite, sia attraverso le intercettazioni che dalle dichiarazioni dei collaboratori, descrivono un tessuto sociale che compone l’ippodromo pesantemente condizionato dalla paura».

Il pentito Giovanni Vitale racconta ad esempio che per «convincere» il fantino Biagio Lo Verde a collaborare gli sarebbe stato bruciato il furgone di trasporto dei cavalli. Per gli inquirenti la gestione mafiosa dell’ippodromo sarebbe passata dal boss Giovanni Nioisi, tra gli arrestati, poi caduto in disgrazia e «destituito», a Sergio Napolitano. L’inchiesta ha individuato «un gruppo di storici fantini che altrettanto storicamente sono vicini agli affiliati mafiosi e si prestano all’opera fraudolenta necessaria per condizionare l’esito delle corse. Questi fantini, nell’approcciare i colleghi che parteciperanno alle corse, renderanno evidente il legame con il mondo mafioso anche qualora non pronunciassero alcun esplicito riferimento».

«Se uno vince pure 100 mila euro all’ippodromo e lascia 10 mila euro di... di... a quelli del luogo: tutto è diviso S. Lorenzo e Resuttana. E lui quando combinava le corse, mandava dei fantini e gli dava un milione o mille euro a quello: "Non arrivare!", 'Tu devi arrivare primo!', "Devi vincere quello!"... e tutti puntavamo su qualche cavallo... che anche io ho puntato in qualche cavallo!», racconta il pentito Vitale.

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