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Mamma gettò la figlia neonata in un cassonetto a Palermo, chiesti 21 anni

Il procuratore generale Emanuele Ravaglioli ha chiesto alla corte d'assise d'appello la condanna a 21 anni di carcere per Valentina Pilato, la mamma che gettò la figlia appena nata nel cassonetto il 24 novembre 2014.

La corte d’appello di Palermo aveva deciso di risentire tutti i consulenti e periti che si sono pronunciati sull’imputata nel primo grado di giudizio nel quale la donna è stata assolta perché non era capace di intendere e volere. E adesso è chiamata a decidere il 26 giugno. La corte d'assise di Palermo dichiarò il difetto di imputabilità per la donna, che adesso è libera anche se in cura psichiatrica. E’ stato chiamato a deporre anche il titolare della struttura in cui Pilato è in cura. Il processo si è giocato molto sulle perizie sulle condizioni psichiche della donna, difesa dagli avvocati Enrico Tignini e Dario Falsone.

Decisiva quella di Francesco Bruno e Maria Pia De Giovanni disposta dalla Corte. Per loro, la donna quando gettò la figlia appena nata nel cassonetto della spazzatura non era in grado di intendere e volere. Si liberò del feto come si fa di “un oggetto pericoloso che la  mente della madre si rifiuta di considerare un figlio”.

Per il criminologo e la psichiatra, la donna ha un disturbo grave dell’umore che si “accompagna a vissuti dissociativi e paranoidei di tipo cognitivo anancastico”. Questa condizione era presente al momento dell’infanticidio e al momento del parto avvenuto “dopo una rilevante negazione della gravidanza e di qualsiasi reazione affettiva ad esso legata”.

La perizia sulle condizioni di Valentina Pilato (giudicata nell’ultimo esame non pericolosa) si è resa necessaria dopo il contrasto tra le precedenti due analisi. Secondo i consulenti del gip, la donna sarebbe stata capace di intendere e volere perché aveva un disturbo di adattamento che non ne avrebbe inficiato la lucidità. Di parere diametralmente opposto i periti della difesa. Inizialmente i pm avevano contestato alla giovane mamma il reato di infanticidio, l'imputazione, però, è stata poi modificata. Pilato, che ha tre figli, dopo il trasferimento del marito in Friuli, nell'Esercito, aveva dovuto lasciare Palermo per trasferirsi a Gemona del Friuli, in un piccolo paesino di provincia. Il giorno prima del parto, l'imputata era tornata a Palermo con un volo anche perché - così ha raccontato – non sapeva di essere giunta già al nono mese, credeva di essere al settimo. Avrebbe nascosto la gravidanza al marito perché sapeva che non sarebbe stata ben accetta e contava di riferirglielo dopo.

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