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Mori e Obinu assolti definitivamente: "Non favorirono Provenzano"

Mario Mori

PALERMO. Dopo 9 anni (rinvio a giudizio il 14 aprile 2008 e tre mesi dopo inizio del processo) la Cassazione mette il sigillo sull'assoluzione del generale dei carabinieri Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu accusati di aver favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano potendolo catturare grazie alle confidenze del mafioso Luigi Ilardo.

I due carabinieri negli anni Ottanta e Novanta erano considerati "l'antimafia in divisa» a Palermo, esperti delle cosche e del territorio su cui operavano, e il processo chiesto e ottenuto dal pubblico ministero Nino Di Matteo ha tenuto per un decennio in sospeso il giudizio dell’opinione pubblica che si è divisa sul vero ruolo nella lotta alla mafia dei due alti ufficiali. Un giudizio su cui la Cassazione non ha dubbi respingendo il ricorso della procura generale e assolvendo definitivamente Mori e Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia.

Il generale afferma di essere «soddisfatto» e aggiunge che ''avendo la coscienza a posto, sono sempre stato molto tranquillo». Da parte di Mori nessuna recriminazione per gli anni trascorsi nelle aule di giustizia a difendersi da un’accusa poi rivelatasi infondata: «ho letto le carte, mi sono documentato. Non ho perso tempo, anzi l’ho guadagnato». Mori per ora è imputato nel maxi processo sulla presunta trattativa Stato-mafia di cui è pm anche Di Matteo.

Provenzano non sarebbe stato arrestato nel '95 a Mezzojuso: Mori era vice comandante operativo del Ros, Obinu era comandante del reparto criminalità organizzata del Raggruppamento. Il procedimento nacque dalle dichiarazioni del colonnello dell’Arma Michele Riccio che accusò i colleghi di avergli impedito il blitz per fermare il padrino corleonese poi arrestato nel 2006.

Il procuratore generale Roberto Scarpinato e il sostituto Luigi Patronaggio nel processo d’appello avevano chiesto la condanna dei due ufficiali rispettivamente a quattro anni e mezzo e tre anni e mezzo di reclusione. La Corte d’Appello aveva confermato in pieno l’assoluzione di primo grado con la formula "perché non costituisce reato». Il legale di Mori, Basilio Milio, afferma che «la Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha suggellato quelle che sono state le valutazioni espresse dai giudici di merito su queste vicende, condensate in due monumenti del diritto di circa 1800 pagine, le sentenze di primo e di secondo grado».

«Oggi si è realizzata in primo luogo una vittoria delle istituzioni - ha proseguito - e, poi, anche quella degli imputati, Mori e Obinu, i quali hanno sempre servito fedelmente questo Paese e hanno dato, con il loro comportamento processuale e con la rinuncia alla prescrizione, la ennesima prova di tale loro correttezza, attaccamento allo Stato e fiducia nella giustizia. Questa sentenza rappresenta anche la sconfitta di teorie e teoremi che necessariamente soccombono davanti ai fatti».

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