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Di Matteo, dalle indagini sulle stragi di mafia allo scontro con Napolitano

il pm Nino Di Matteo

ROMA. Palermitano, 56 anni, in servizio dal 1991 in magistratura, dove ricopre sempre il ruolo di pubblico ministero, Antonino Di Matteo comincia la sua carriera alla procura di Caltanissetta. Nel 1994 entra nel pool incaricato di seguire le indagini sulle stragi in cui hanno perso la vita Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Istruisce il Borsellino ter e il cosiddetto via d’Amelio bis, nei confronti di Salvatore Riina e altri imputati.

Sua anche l’inchiesta costata il primo ergastolo al capo dei capi di Cosa Nostra: quella sull'omicidio del giudice Antonino Saetta. Così come sue le indagini che nel 1996 fanno riaprire l’inchiesta sulla strage di via Pipitone in cui perse la vita Rocco Chinnici.

Trasferito alla procura di Palermo nel 1999, Di Matteo si occupa tra l’altro dell’omicidio del giovane collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, di quello di Pio La Torre e del procedimento a carico del generale Mori e del colonnello Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, finito con l'assoluzione dei due imputati. E negli ultimi anni lega il suo nome all’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia: il processo è in corso e vede tra gli imputati politici come Calogero Mannino (assolto nel dicembre scorso), Marcello dell’Utri e l’ex ministro Nicola Mancino; ufficiali come Antonio Subranni e Mario Mori, e boss mafiosi come Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca.

Nel corso delle indagini vengono intercettate telefonate tra Mancino e allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, che portano a un conflitto di attribuzione tra il Quirinale e la procura di Palermo, risolto a favore del Colle. In relazione a quella vicenda e in particolare alle affermazioni fatte in un’intervista, Di Matteo nel 2014 viene sottoposto a un procedimento disciplinare, concluso con il suo proscioglimento. In quello stesso anno il giorno della commemorazione di Borsellino, il pm dal palco allestito in via D’Amelio, attacca Napolitano, accusandolo di condizionare le scelte del Csm, e l’allora premier Matteo Renzi, reo di far riforme con un politico condannato per «gravi reati», un’ allusione rivolta a Silvio Berlusconi. E così finisce al centro della polemica politica.

Al di là di queste vicende, Di Matteo si ritrova più volte all’attenzione della cronaca per le minacce che gli riserva Cosa Nostra e che hanno spinto il Viminale a predisporre a sua tutela un sistema di sorveglianza speciale dotato del bomb jammer, un dispositivo che neutralizza le attivazioni a distanza dei telecomandi.

Nel 2014 Totò Riina, intercettato in carcere, dice di volere per lui «la fine del tonno». In seguito il pentito Vito Galatolo parla dell’acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato al pm. L’ultimo allarme è di qualche mese fa: «Lo devono ammazzare» dice di lui un mafioso parlando con la moglie e non sapendo di essere intercettato.

Da ultimo a far notizia sono le voci di una sua candidatura alle elezioni regionali in Sicilia con i Cinquestelle. Ipotesi sinora smentita dal movimento di Grillo.

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