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Fragalà, errore che irritò i boss: «I sicari dovevano solo intimidirlo»

PALERMO. Il delitto Fragalà fu «pesante», troppo pesante, come la mano di chi colpì il penalista con un bastone o una speciale arma di legno per le arti marziali, la sera del 23 febbraio 2010: perché l'avvocato doveva essere intimidito, dunque «solo» pestato, e non doveva morire, come avvenne invece tre giorni dopo l'aggressione, a causa delle ferite riportate.

Due pentiti del Borgo Vecchio, Giuseppe Tantillo e Francesco Chiarello, aggiungono altri tasselli, nella ricostruzione delle possibili responsabilità di quel che avvenne sei anni e mezzo fa in via Nicolò Turrisi, sotto lo studio di Enzo Fragalà: e anche il mancato sostegno, da parte di Cosa nostra, per le spese legali sostenute da Salvatore Ingrassia, uno dei tre sospettati, viene letto dagli investigatori in questa chiave.

A parlare di questo «non finanziamento» alla moglie dell'indagato, come anticipato ieri dal Giornale di Sicilia, è stato Pino Tantillo, che ha spiegato le difficoltà affrontate dai boss a causa dell'omicidio.

 

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