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Sotto sfratto l'ex moglie di Totò Schillaci, deve lasciare villa da 2,5 milioni

PALERMO. È una settimana di fuoco quella che attende Rita Bonaccorso. Il 28 aprile l'ex moglie del
calciatore Totò Schillaci potrebbe essere costretta a lasciare la sua casa da 2,5 milioni di euro a Palermo, quella in cui ha vissuto finora e sono cresciuti i figli Mattia e Jessica.

Rita Bonaccorso è una donna disperata e minaccia gesti eclatanti (già due volte ha tentato il suicidio). Una
paradossale vicenda giudiziaria che si trascina da oltre vent'anni rischia di farla finire senza un tetto.
Tutto comincia nel 1992 quando una conoscente palermitana che ha una gioielleria a Torino, Giovanna Giordano, le chiede il favore di andare ogni tanto nel suo negozio per farle pubblicità.

A tutti la presenta come la moglie di Schillaci, anche se Rita Bonaccorso è già separata. Dopo due anni la
gioielleria fallisce e nel 1996 nel procedimento viene coinvolta anche lei. Risulta debitrice - in quanto socia apparente - di una ditta svizzera fornitrice di anelli, bracciali, diamanti e rubini per 390 milioni di lire. Gioielli mai pagati dalla gioielliera e finiti al centro di una rapina, secondo i giudici «simulata» dalla stessa proprietaria.

Nel frattempo l'ex moglie del calciatore idolo di Italia '90 torna a Palermo e comincia l'odissea, con le sentenze di condanna dei tribunali e un esercito di avvocati che l'abbandonano ripetutamente mandandole fatture per centinaia di migliaia di euro. La donna viene condannata a risarcire il fornitore di gioielli Stefan Hafner nel 2006, sentenza confermata in appello nel 2008. A ottobre 2015 arriva la condanna definitiva. Dal 2006 la sua casa è all'asta, nessuno finora l'ha mai comprata ma adesso lo sfratto è imminente.

«Io non mi muovo da qui, faccio saltare tutto», ripete piangendo Rita Bonaccorso.  Tutte le speranze sono riposte adesso in una perizia calligrafica su una firma. Quella di Hafner, creditore della gioielleria fallita morto nel 2009, sul documento con cui il credito veniva ceduto al figlio Vittorio. Non è autenticata, ma soprattutto non sarebbe la sua. Lo afferma la dottoressa Sara Cardella in una consulenza che l'avvocato Claudio De Filippi,
suo difensore con l'avvocato Antonio Bongiorno, allegheranno alle istanze di sospensione e di estinzione della procedura presso il giudice di Palermo Angela Notaro.

Intanto si chiede la revocazione della sentenza della Cassazione con la riapertura del processo ai sensi dell'articolo 395 bis del codice di procedura civile. Secondo gli avvocati non c'è nessun movimento di denaro, nessun acquisto di gioielli effettuato dalla signora Bonaccorso, che la possa configurare come socia.

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