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Messineo: «Mafia oggi più debole, ma nei boss permane la voglia di stragi»

PALERMO. La mafia continua ad essere un' organizzazione criminale forte, anche se l' hanno «indagini e arresti decisamente indebolita. La scoperta di progetti contro i magistrati impegnati nella lotta a Cosa nostra lascia ricavare la sensazione che esiste ancora nelle cosche una vocazione alla violenza stragista e al delitto eccellente. O che ci siano gruppi che per prendere il potere pensino all' azione eclatante: nella mafia il ricorso alla violenza è un sistema per "fare carriera"». Francesco Messineo, l' ex procuratore capo di Palermo da pochi mesi in pensione, esamina così le notizie giunte ieri da Caltanissetta.

Dottore Messineo, nel Nisseno un mafioso ha progettato l' attentato con un' autobomba contro un pm e la sua famiglia. Ieri, sempre a Caltanissetta, il ministro dell' Interno ha affermato che Cosa nostra vive una fase di profonda difficoltà, al punto da non riuscire nemmeno a riunire la Cupola. Sembrerebbe una situazione piuttosto contraddittoria. Che ne pensa?
«Nessuno ha mai pensato o detto che la mafia abbia smesso di esistere o che si sia autodissolta. Sarebbe una conclusione eccessivamente ottimista. Certo, dopo le stragi dei primi anni Novanta e passando per la stagione della cattura dei grandi lati tanti, sembra essere venuta meno la strategia dell' attacco frontale, così come è notevolmente diminuito il ricorso agli omicidi. Quando parliamo di una mafia allo sbando o stretta nell' angolo fotografiamo un fatto che è reale, ma essere allo sbando non significa essere totalmente neutralizzati. Al tempo stesso potrebbe esserci qualcuno pronto a imporre nuovi equilibri con i metodi di sempre. In Cosa nostra ci sono sempre stati alcuni che hanno privilegiato una politica di basso profilo e altri che sono stati portatori di una strategia della violenza. E le azioni eclatanti, il sangue sono un metodo all' interno delle cosche per imporre il potere. In questi termini, tra le due situazioni apparentemente discordanti, potrebbe trovarsi un momento di collegamento: mi sembra che non ci sia una totale incompatibilità tra una mafia fortemente indebolita e la possibilità di azioni violente, che bisogna contrastare in ogni modo».
A Palermo le minacce e la scoperta di progetti d' attentato contro il pm Nino Di Matteo, che tra l' altro si occupa della cosiddetta trattativa Stato -mafia, hanno fatto scattare misure di sicurezza straordinarie. Il segno che il pericolo è concreto e che la vocazione stragista delle cosche non è venuta meno...
«Contro la mafia bisogna tenere l' attenzione altissima e non dimenticare che Cosa nostra ha le sue radici in Sicilia. Oggi mi sembra di cogliere un certo calo di tensione e di attenzione sulla criminalità organizzata nell' Isola da parte dell' opinione pubblica e delle istituzioni. Sembra che i riflettori siano puntati soprattutto al Nord, che l' emergenza si sia spostata altrove, dove anche la mafia siciliana si è in parte trasferita. Ma non bisogna mai dimenticare che la mafia ha radici qui e che la sua forza sta nel controllo del territorio. Nel caso di Nino Di Matteo si tratta di un magistrato fortemente impegnato in attività difficilissime, che vanno al cuore dell' attività della mafia».

Solo della mafia?
«Io non conosco i risultati delle indagini che la procura di Caltanissetta sta svolgendo, ma sappiamo che nella nostra storia recente è emersa forte l' ipotesi di ulteriori interessi collegati esterni a Cosa nostra».

Ritiene che sul fronte della lotta ai patrimoni mafiosi il lavoro di magistrati e forze dell' ordine abbia prodotto risultati efficaci?
«Direi proprio di sì, non passa giorno senza seque stridi beni, l' azione è dirompente. Non si potrebbe esigere di più. Se si continua con questo trend, alla distanza Cosa nostra soffrirà molto».

Da più parti, però, sono state segnalate criticità sulla gestione dei beni e soprattutto delle aziende. È un sistema perfettibile?
«La linea adottata dal prefetto Umberto Postiglione, direttore dell' Agenzia nazionale per i beni confiscati, mi sembra che funzioni. La scelta di procedere con assegnazioni massicce di immobili a Comuni e associazioni anche per trasformarli in alloggi popolari o in centri di assistenza risponda appieno a un' esigenza sociale. Il percorso è certamente questo. Discorso diverso per le imprese; non si è ancora trovata la chiave di volta per coniugare la redditività dell' azienda con la legalità, per evitare che l' impresa confiscata cessi di produrre reddito. Forse anche per via del fatto che nella precedente gestione l' impresa agiva nell' illegalità, con costi ben più bassi e fuori dalle regole di mercato. Bisognerebbe lavorare sul fronte della ricerca di manager capaci. L' esperienza dimostra che quando ci sono amministratori bravi le imprese hanno qualche possibilità di produrre reddito».

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