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Rinviati a giudizio per bancarotta fraudolenta i fratelli Tuttolomondo, ex proprietari del Palermo calcio

I due imprenditori rilevarono la società da Zamparini. Secondo l'accusa, prima che il club venisse dichiarato fallito «ne svuotarono le casse dalle liquidità rimaste»

Salvatore Tuttolomondo col fratello Walter

Il gup di Palermo Angela Lopiparo ha rinviato a giudizio i fratelli Salvatore e Walter Tuttolomondo (nella foto), ex proprietari del Palermo calcio. Sono accusati di bancarotta fraudolenta, indebita compensazione di imposte con crediti inesistenti, autoriciclaggio, falso e ostacolo alle funzioni di vigilanza della Covisoc (la commissione di vigilanza sulle società di calcio).

I Tuttolomondo avevano comprato dall’imprenditore Maurizio Zamparini la Us Città di Palermo, la vecchia società del Palermo calcio, con il dichiarato proposito di risollevarne le sorti. Le cose però non andarono secondo i piani: la società fu penalizzata dal Tribunale della Federazione italiana giuoco calcio per gli illeciti sportivi commessi negli anni precedenti da Zamparini e si vide preclusa la possibilità di giocare i play-off per la promozione in Serie A. Una tegola per i Tuttolomondo, che a quel punto, come scrisse il gip che ne dispose l’arresto, «si sono trovati tra le mani la patata bollente di una società piena di debiti e senza alcuna liquidità». Ma i due imprenditori per evitare il peggio e riuscire comunque a iscriversi al campionato avrebbero cercato di truccare le carte, cominciando col nascondere lo stato di insolvenza, prima di tutto ripianando i debiti fiscali con crediti portati «in dote» da altre società del gruppo come l’Arkus. Crediti legati al fantomatico acquisto del ramo d’azienda della Group Itec srl, società estinta per inattività dal 2010, quindi inesistente.

La Lega Serie B bocciò il tentativo di iscrizione al campionato ritenendo non regolati i debiti fiscali e non pagati gli stipendi. Una decisione che svincolò i giocatori e creò l’azzeramento dell’unico attivo consistente nei diritti pluriennali alle prestazioni dei giocatori, i cosiddetti cartellini. «Prima che la barca affondasse e la società, a seguito di istanze sia della Procura che dei giocatori i cui stipendi non erano stati pagati, venisse dichiarata fallita - scrisse il gip che definì Salvatore Tuttolomondo una personalità criminale -, gli imprenditori, i suoi collaboratori e alcuni professionisti, svuotarono le casse dalle liquidità rimaste».

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