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Non prendiamocela con la pioggia

Foto di Alessandro Fucarini

A Roma, qualche anno fa, furono scoperte le buche: si era appena insediata Virginia Raggi e prima di lei non c’erano mai state le voragini nell’asfalto, o nessuno fino a quel momento se n’era accorto. C’erano pure i topi, anche loro arrivati con la prima donna sindaco della Capitale: e neanche loro prima c’erano (o nessuno li aveva visti: o voluto vederli). Il paradosso (scherzoso) significa che le buche non hanno colore politico, non hanno padri né padrini, fanno parte - in un certo qual modo - del patrimonio, dell’arredo urbano. Ci sono a Roma, ci sono a Milano (e Maurizio Crozza ha canzonato da par suo il sindaco Beppe Sala), ci sono a Palermo. E quante sono, a Palermo.

Nel 2022 questo giornale si prese la briga di contarle: e si perse ben presto il conto, attraverso i percorsi urbani degni di quella che un tempo era la Parigi-Dakar e ora si chiama solo Dakar (ma potrebbero chiamarla pure semplicemente Palermo), da via Crispi a via Messina Marine, da via dei Cantieri alla centralissima via Libertà, da corso Calatafimi al viale Regione Siciliana, da Mondello a Brancaccio. E siccome le voragini su asfalto e marciapiedi non le hanno inventate il sindaco attuale né l’assessore ai Lavori pubblici, che di cognome fa Orlando, come il primo cittadino precedente, si potrebbe essere tentati dall’idea del volemose bene e dell’assoluzione collettiva, specialità tutta italiana.

In fondo (finora) che è successo? È mica morto qualcuno? No, per fortuna. Ci sono solo feriti, fratturati, automezzi rovinati, ciclisti in pericolo perché contestualmente sfrattati - da un’ordinanza che se avete qualche giorno di tempo provate un po’ a capirla - dal centro pedonalizzato. Anche i pertugi sono un po’ frutto della fatalità: nella città della siccità persistente, un paio d’anni fa piovve (succede, speriamo succeda ancora): ed ecco il presidente pro tempore della Rap, azienda partecipata che si occupava di rattopparli, i pertugi, prendersela con la pioggia. Pioveva, dunque l’asfalto si crepava. Mannaggia.

Ora da mesi viene ripetuto che la situazione è sotto controllo. Che il Comune - endemicamente e ineluttabilmente senza un centesimo di euro - sta provvedendo con un meccanismo complicato a fare lavori un po’ qua e un po’ là: c’è un «accordo quadro» che potrebbe portare a spendere fino a 46 milioni in quattro anni, soldi che non ci sono (e difatti finora se ne sono trovati solo poco più di 5, milioni) ma che è come se ci fossero e però - dato che il Mago Houdini ci ha lasciati un po’ di tempo fa - da qualche parte dovranno pur spuntare. Col risultato che l’asfalto nuovo è stato posato in quattro-cinque strade e che per procedere con le altre occorrerà bandire gli appalti, gli appalti hanno i loro tempi e intanto le buche continuano a esserci e a proliferare, pure senza la pioggia che ci ha dimenticati (e magari ora sarà colpa della siccità?).

In un Paese, in una città normale, spostarsi con qualsiasi mezzo, a quattro o a due ruote, in carrozzina o col passeggino, a piedi o in monopattino, dovrebbe essere una normalissima e non pericolosa attività: non ordinaria ma ordinarissima. Invece a Palermo è e resta un’avventura, specie di sera, quando provatevi ad andare in moto su via Crispi, di fronte all’ingresso del porto, nell’una o nell’altra direzione. Sì, al porto: dove sbarcano i turisti, a frotte, scendendo dalle navi da crociera; molti vanno a piedi, altri salgono su mezzi di ogni genere, dalle carrozze alle motocarrozzine, dai bus ai trenini turistici. E lì cominciano la loro avventura nell’avventura, la loro personale Dakar. Che pure loro potrebbero chiamare semplicemente Palermo.

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