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Ergastolo ostativo, una riforma importante

Il 30 dicembre scorso è stata approvata una riforma che lancia un segnale importante nella lotta alla mafia e ha un significato speciale per Palermo, una città che dopo le stragi del 1992 ha trasformato il dolore in speranza e ha ricostruito la propria identità sulla base delle idee e del coraggio di quelle persone – Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, i loro agenti di scorta - che la mafia ha voluto uccidere e che oggi, invece, sono più vive che mai.

Si tratta della riforma dell’ergastolo ostativo, con cui il legislatore, adempiendo il mandato affidatogli dalla Corte Costituzionale nell’anno precedente, ha evitato il rischio che venisse compiuta la demolizione di un impianto normativo fortemente voluto da Giovanni Falcone, e venisse aperta la strada alla scarcerazione di quegli esponenti di vertice di «Cosa nostra» che hanno deciso e attuato un attacco terroristico finalizzato a mettere lo Stato in ginocchio, senza poi mostrare neppure il minimo rispetto per le vittime, per il loro dolore, per il loro bisogno di verità.

Una simile eventualità è stata esclusa in modo inequivocabile dalla riforma, che indica una serie di requisiti molto rigorosi ai quali resta subordinata la possibilità di accedere alla liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo per reati di mafia e terrorismo.

Occorre, anzitutto, che l’interessato alleghi elementi specifici (diversi rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di appartenenza) che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Inoltre, è necessario che il giudice di sorveglianza accerti la sussistenza di iniziative del condannato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.

Quest’ultimo requisito, la cui introduzione è stata proposta dalla Fondazione Falcone, presenta potenzialità molto importanti: il modello della giustizia riparativa, infatti, presenta un fortissimo legame genetico con la piena realizzazione di quel «diritto alla verità» che le Corti internazionali attribuiscono non solo ai familiari delle vittime delle più gravi violazioni dei diritti umani, ma anche all’intera collettività. Un diritto che quindi deve realizzarsi attraverso un impegno corale di tutte le istituzioni.

La riforma – la cui iniziativa, adottata in via d’urgenza in questa legislatura, è stata apprezzata anche dal CSM – si fonda su un testo che, nella precedente legislatura, aveva formato oggetto di ampia condivisione tra le forze politiche.

Essa potrebbe rappresentare il primo passo di un impegno di aggiornamento della normativa antimafia, per adeguare gli strumenti di contrasto alla realtà di un fenomeno criminale che cambia continuamente pur restando sempre sé stesso.

In particolare, ci sono tre aspetti, strettamente collegati alla riforma dell’ergastolo ostativo, che potrebbero formare oggetto di ulteriori interventi del legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità.

Il primo aspetto riguarda la previsione di uno specifico modello di giustizia riparativa strutturato in modo da rendere efficace questo strumento anche rispetto alle più gravi vicende criminali, che richiedono forme di riparazione appropriate.

In questa prospettiva, la riforma dell’ergastolo ostativo può divenire una importante occasione per far sì che il «diritto alla verità» e il «diritto alla speranza», affermati entrambi dalla Corte europea, possano rafforzarsi a vicenda.

Il significato profondo del diritto alla speranza è quindi di dare anche agli autori dei reati più gravi la possibilità di riparare effettivamente il danno arrecato alle vittime e alla società. Se si vuole prendere sul serio il diritto alla speranza, occorre riscoprire, accanto alla sua dimensione individuale, la sua dimensione collettiva. Occorre valorizzarne le potenzialità sul piano della giustizia riparativa anche nella realizzazione del diritto alla verità per i familiari delle vittime e per l’intera comunità.

È chiaro, peraltro, che l’attuazione del diritto alla verità rappresenta un impegno che non resta affatto limitato alla collaborazione con la giustizia.

Si pensi, ad esempio, al contributo che potrebbe essere dato alle attività della Commissioni parlamentari di inchiesta, anche nei casi in cui la collaborazione con la giustizia è divenuta impossibile a causa dei limiti che sono connaturati al processo penale.

È significativo che proprio nel 2022, da parte di alcuni dei massimi esponenti delle istituzioni, sia stato affermato con forza l’impegno per illuminare le pagine buie della nostra storia, su cui l’Italia ha diritto di conoscere la verità. Un impegno che è stato posto alla base della proposta di istituzione di una Commissione d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.

Il secondo aspetto che merita una adeguata attenzione nei programmi di riforma consiste nella previsione di tutte le misure (legislative e organizzative) occorrenti per la costruzione di un sistema di scambio di informazioni che coinvolga la magistratura di sorveglianza, i diversi organi del pubblico ministero e le sezioni misure di prevenzione dei tribunali, per raccogliere efficacemente e tempestivamente tutti quegli elementi che sono indispensabili per gli accertamenti sulle condizioni economico-patrimoniali dei detenuti, richiesti dalla legge appena approvata. Si tratta di un profilo importante per assicurare la tutela della collettività e delle persone più deboli contro il pericolo derivante dalla liberazione di detenuti protagonisti di un ravvedimento solo apparente.
Il terzo aspetto consiste nell’impegno ad incentivare in positivo la collaborazione con la giustizia, anche aumentando le risorse umane e professionali a disposizione delle persone rientranti nel sistema di protezione. È questa la strada maestra per favorire lo sviluppo di un contributo conoscitivo proveniente da soggetti che possono offrire una ricostruzione della vita delle organizzazioni criminali che non potrà mai essere rimpiazzata dalle ormai diffusissime tecniche di captazione delle comunicazioni. A proposito del contributo di Tommaso Buscetta per la comprensione della realtà profonda di «cosa nostra», Giovanni Falcone diceva: «Ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno. Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice».

Con un impegno corale delle istituzioni, si può dare vita a una legislazione idonea a divenire un importante fattore di credibilità del nostro Stato nel contesto internazionale proprio per la capacità di realizzare una tutela esemplare dei diritti fondamentali di tutti i componenti della collettività.

Un ruolo importante, in questa prospettiva, potrebbe essere svolto dalla Commissione parlamentare antimafia, la cui istituzione anche in questa legislatura è stata sollecitata da alcuni dei più autorevoli rappresentanti della società civile, segnalando che è giunto il momento di diventare più presenti in quei contesti scomodi e lontani dove le mafie proliferano. Si tratta di un impegno non solo di giustizia, ma, prima ancora, di solidarietà e di coraggio civile.

*presidente del Tribunale di Palermo

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