Tentare di capire fenomeni in costante aumento come quelli delle baby gang vuol dire parlare di adolescenza, l’età dei cambiamenti, delle insicurezze, delle frustrazioni. Vuol dire indagare sull’importanza, quando hai 13/14 anni, del branco che amplifica ogni esperienza e nasconde incertezze. Le baby gang sono il volto tragico di quell’età. «Sono una sorta di sviluppo disfunzionale del periodo adolescenziale, già complesso di per sé», spiega Daniele La Barbera, professore di psichiatria e direttore dell’Unità operativa complessa di Psichiatria del Policlinico di Palermo.
Da dove traggono origine le deviazioni?
«Gli adolescenti sono un sismografo sensibile alle difficoltà che una società attraversa: viviamo in un periodo in cui si sono stratificate situazioni critiche quali la pandemia, la guerra, la crisi economica, la crisi idrica. Tutto questo finisce per esercitare una pressione forte in un momento difficile della vita».
I recenti fatti di cronaca raccontano di baby gang composte da migranti di seconda generazione e baby gang con ragazzine palermitane. Comune denominatore: vivere a Palermo.
«Credo che l’elemento razziale non sia significativo. La nostra è una società in cui i problemi educativi e pedagogici stanno diventando un’ulteriore emergenza, data dalla povertà educativa, dalla difficoltà a fornire orientamento e indicazioni di senso ai nostri ragazzi. Il malessere sociale viene percepito sia dal ragazzo immigrato, che magari vive una condizione ancora più potente, che da quello palermitano».
Altro segno inquietante: il gusto della violenza gratuita.
«Esercitare una violenza a casaccio dà l’illusione di vivere emozioni forti e una situazione di aggregazione all’interno di un gruppo, in cui è facile perdere il senso della responsabilità, in cui si vive più un’esperienza da branco che non da persone che condividono un progetto, uno scopo o una meta. Il branco rafforza, la componente imitativa consente di riconoscersi e l’aspetto legato alle conseguenze di ciò che fai si perde sullo sfondo. Conta il “qui e ora”, l’esperienza nell’immediato presente».
Perché le adolescenti sono diventate violente? È cambiato il loro modo di entrare nella vita?
«È un fenomeno relativamente nuovo, già da alcuni anni i comportamenti delle ragazze si avvicinano a quelli maschili e le differenze di genere sfumano. Un esempio tra tanti: prima l’anoressia era una malattia femminile, oggi non più. C’è una sorta di parificazione delle problematiche evolutive, psicologiche, e anche disfunzionali e devianti, tra maschi e femmine e la costituzione delle baby gang al femminile ne è una prova».
Perché un gruppo si trasforma in gang?
«Perché si vogliono esplorare situazioni estreme. Molti adolescenti non trovano nella quotidianità alcunché di interessante, di significativo, di emozionante, in una società che promuove, a ogni età, la ricerca di esperienze sempre più intense, inusuali, estreme, lontane dal quotidiano. La baby gang è qualcosa che consente, in maniera fittizia e illusoria, di vivere emozioni forti al di fuori di un comportamento che ha a che fare con una dimensione normativa. La noia è un elemento critico che tende a spingere l’adolescente verso forme più estreme come la violenza: quando un ragazzo si annoia, significa che ha già consumato tutta una serie di esperienze che potrebbero gratificarlo».
E il bisogno di immortalarsi?
«Gli adolescenti sono i primi protagonisti dell’uso funzionale, e disfunzionale, delle immagini. Di più: spesso l’azione viene perpetrata e agita per essere ripresa, postata condivisa».
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