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Ora però cominciamo a parlare di Palermo

Le bare da seppellire al cimitero dei Rotoli: immagine simbolo dei problemi da risolvere a Palermo

Una gestazione lunga e complessa per un parto dall'esito prevedibile, fin quasi da apparire scontato. Il centrodestra rimette insieme i cocci e trova in Roberto Lagalla la sintesi. O il compromesso. Cioè nell'uomo che lo stesso Miccichè prima di tutti lanciò già parecchi mesi fa verso la corsa a sindaco di Palermo, salvo poi incartarsi nel rimpiattino con gli alleati a scavalco sulle comunali e con vista sulle regionali. L'uscita di scena di Cascio, ancor più che quella di Lentini, appare amara ma inevitabile. Si trattava solo di darle un minimo di decoro, di non fare di quei manifesti già sparsi per la città mera carta straccia buona solo per il sarcasmo dei detrattori e di non etichettarla come una debacle forzista. Certo, resta agli atti quel suo «non c'è un solo motivo per cui io non debba essere candidato a sindaco» incautamente declamato agli astanti lo scorso novembre nei corridoi di un albergo di Mazara in piena convention di Forza Italia. Nelle stesse ore in cui proprio Miccichè sussurrava ai cronisti che quella di Cascio «è solo una autocandidatura».

Da allora è passato tanto tempo. Ed è successo di tutto. Mentre il centrosinistra trovava una elaborata ma non complicata sintesi su Franco Miceli (con qualche robusto pezzo imprudentemente abbandonato o perso per strada, vedi le corse solitarie di Fabrizio Ferrandelli o Rita Barbera), il centrodestra dava vita a una sorta di confusionaria supernova – tutt'altro che luminosa, però – che arrivava a produrre ben cinque candidati distinti. Fino a tornare al punto di partenza. A soli 39 giorni dal voto.

Saranno ora gli elettori palermitani a decidere su chi puntare il 12 giugno. Al netto degli improbabili distinguo dell'ultimora di Renzi, tutt’altro che sposati dai suoi delfini locali (perché assieme a Lagalla con FdI sì e con anche FI invece no?), gli schieramenti appaiono definiti. Dunque sarebbe ora di cominciare ad uscire dal chiuso delle segreterie e delle salette appartate degli hotel, per affrontare i veri problemi della città e occuparsi delle possibili soluzioni. Miceli in realtà – pur con qualche timidezza iniziale – lo ha iniziato a fare, dovendo peraltro recuperare un gap di notorietà/visibilità non indifferente. E così gli altri candidati. Lagalla adesso deve allinearsi in fretta. Magari rinunciando alle future tentazioni di qualche precipitoso sms di troppo. Suo o dei suoi più stretti collaboratori, poco cambia. A dimostrazione che la comunicazione in tutti i fronti in campo ha peccato non poco in questa fase. Dall'ingiuria pronunciata in pubblico da un di solito sobrio Letta contro Musumeci al troppo teatrale video del Cascio-runner, fino alle esternazioni in libertà e alle precipitose marce indietro con acrobatici carpiati di generali e marescialli di partito, alle snobistiche prese di distanza (l’ufficio di Miceli con vista sul Bernini a piazza Navona è ormai iconico), ai ticket farlocchi, ai manifesti con le foto riciclate in barba all'inesorabile trascorrere degli anni.

Adesso vorremmo sentire parlare solo di Palermo. Di rifiuti e di welfare, di promozione sociale e di cultura, di infrastrutture e di mobilità, di periferie e di centro storico, di inclusione e di integrazione, di scuola e di lavoro. E della vergogna planetaria dei morti non sepolti. Di tutto ciò insomma che la Palermo di oggi, dopo che l'epopea orlandiana l’ha definitivamente affrancata da certi stereotipi che stereotipi non erano affatto, ha più che mai bisogno. Una città che non ha più necessità di essere riposizionata nello scacchiere degli equilibri mondiali in termini di simbologia, empatia, immagine, valore, appeal - compito pienamente e meritoriamente riuscito al plurisindaco uscente - ma che ha un drammatico bisogno di essere amministrata nell'impellenza dell'ordinarietà. Non ci appassiona neanche il dibattito su continuità o discontinuità, su vicinanze scomode o alterigie da salotto. Urge il pragmatismo della concretezza, non la lirica preconcettuale e falsamente ideologica dell'inconcludenza. Come potrà riuscirci un sindaco che si insedierà in flagranza di un latente default finanziario, è tutto da dimostrare. Ecco perché è bene che adesso comincino a venire fuori i fatti, le idee, le proposte, le soluzioni. Fatti gli accordi (con vecchi amici e nuove conoscenze), è arrivato il tempo dei raccordi (con nuovi problemi e ataviche emergenze). È chiedere troppo?

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