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Mafia, il capo Mineo e tre vice: ecco chi comanda la nuova cupola di Palermo

Una "nuova cupola", con il "capo" e tre vice che gestiscono i rapporti fra boss e gregari delle cosche, ma anche gli "affari" e la spartizione del territorio. Cosa nostra si riorganizza e il suo vertice torna a Palermo, come ha spiegato anche il procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho. La necessità di riassestare gli equilibri ha un'accelerazione dopo la morte di Totò Riina, morto a novembre del 2017. È quanto emerso dall'operazione dei carabinieri, coordinata della Dda di Palermo e denominata appunto "Cupola 2.0" e che ieri ha portato all'arresto di 46 persone tra presunti boss e gregari di cosa nostra.

Le regole sono quelle vecchie, così come i "vecchi di paese" sono i personaggi che entrano a fare parte della ricostituita commissione provinciale di cosa nostra. Gente che ha alle spalle una carriera mafiosa di un certo peso. La "nuova cupola" ha un capo: Settimo Mineo, 80 anni ufficialmente gioielliere in un negozio di corso Tukory, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli. Mineo sarebbe stato nominato capo, perché "il soggetto di maggior autorevolezza - scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo - che aveva preso la parola durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione".

Al di sotto di lui, ci sono tre "vice": Filippo Salvatore Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri - Belmonte Mezzagno, Gregorio Di Giovanni, detto Revuccio reggente del clan Porta Nuova, e Francesco Colletti, boss della cosca di Villabate.

L'indagine ha svelato il tentativo di ricostituire la commissione provinciale ormai "in sonno" dai primi anni '90. La commissione sarebbe tornata a riunirsi, come emerge dalle intercettazioni il 29 maggio scorso.

"Tutte le indagini - scrivono gli inquirenti - hanno permesso di affermare che la mafia ha la vitale necessità di trovare unione e rappresentatività comune sul territorio in grado di influire sulle dinamiche mafiose dell’intera provincia e, soprattutto, di relazionarsi con pari dignità con i capi di cosa nostra che operano fuori dalla provincia".

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