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Coronavirus, dai primi sintomi al ricovero: quali sono le cure e cosa succede in ospedale

Nell’intervista al Dottor Enzo Massimo Farinella, Direttore del reparto Malattie Infettive e Tropicali dell’Ospedale Vincenzo Cervello di Palermo, viene illustrato l’iter di cura del paziente che ha contratto il covid-19: dal riconoscimento dei sintomi, all’ospedalizzazione, all’eventuale ricovero nei reparti di terapia intensiva.

“Bisogna innanzitutto fare una distinzione”, esordisce Farinella, “il paziente può sapere di essere positivo e recarsi nell’area di emergenza perché preoccupato dal risultato del tampone, ma privo di sintomi: in questi casi viene visitato dai colleghi dell’area di emergenza e in assenza di problematiche che richiedano il ricovero viene rimandato a casa e rimane lì in osservazione. Quando invece il paziente si reca in ospedale perché sta male, presentando una certa sintomatologia senza però sapere di essere positivo, viene sottoposto al tampone rinofaringeo - ora si utilizzano più frequentemente quelli a risposta rapida, che nel giro i 20 minuti possono dare una risposta. Nel caso di positività si ricorre a un tampone più accurato, quello molecolare.

Nel caso il paziente presenti disturbi respiratori, prevalentemente, viene quindi ricoverato e sottoposto a indagini radiologiche: una tac dell’apparato respiratorio che può confermare o no l’interessamento dell’apparato stesso. In presenza di una polmonite il paziente deve essere ricoverato e sottoposto a una terapia mista, in base al quadro clinico che di paziente in paziente non è mai lo stesso e in base alle ultime linee guida. In maniera generale è prevista la somministrazione di cortisone, di eparina e di un farmaco antivirale. A questo si aggiunge eventualmente una terapia antibiotica. In alcuni casi meno fortunati la sintomatologia diventa più grave nei giorni che seguono il ricovero. Accusando un’insufficienza respiratoria, il paziente ha così bisogno di un supporto: dalla somministrazione di ossigeno, anche corposa, alla respirazione assistita con l’uso di un ventilatore, e nei casi più gravi può essere necessario inviare il paziente nei reparti di terapia intensiva ed eventualmente intubarlo.

Il paziente positivo che sta bene ha un’altra possibilità, oltre a fare ritorno al proprio domicilio - un’abitazione che deve essere separata da quella di altri conviventi, con un servizio igienico dedicato per esempio - ovvero quella di essere ospitato all’interno di strutture identificate dalla regione, per continuare la fase convalescenziale fino alla negativizzazione del tampone. Per i pazienti con pochi sintomi ma non autosufficienti sono state identificate delle residenze assistite, all’interno delle quali è presente un personale infermieristico e socio sanitario”. “I protocolli per adulti e bambini sono condivisi”, continua Farinella.

“Nel caso in cui si tratti di piccoli bambini è evidente che non si possono separare dai genitori, evento che interessa anche i neonati: abbiamo avuto in ospedale diverse donne positive al covid che hanno partorito. In questi casi la mamma è rimasta nel reparto delle malattie infettive, il bimbo è stato ospitato al nido dello stesso ospedale e abbiamo creato un contatto visivo per rassicurare le mamme. Il bambino nasce negativo e l’unico modo che ha per contagiarsi è il momento dell’allattamento: in questo caso si vigila affinché la mamma indossi la mascherina, evitando al massimo un passaggio del virus post-partum a carico del neonato”, conclude.

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