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Folla al Villaggio Coldiretti a Palermo, il presidente Prandini: «Sicilia patrimonio da valorizzare»

Si aprono le porte del Villaggio Coldiretti a Palermo. Centinaia i visitatori che, fin dalle primissime battute si sono avventurati per i viali allestiti in piazza Politeama e lungo le vie Emerico Amari e Ruggero Settimo. Ad accoglierli, stand stracolmi di prodotti agroalimentari siciliani e italiani: un trionfo di biodiversità e sostenibilità, messe a rischio dai rincari dell’energia provocati dalla guerra.

Per questo motivo, durante la tre giorni, sono previsti momenti di confronto sui temi della crisi provocata dalla guerra ma anche sul rischio connesso dell’affermarsi di modelli omologanti quali l’uso del cibo sintetico, dannoso per la salute dei cittadini ma, soprattutto, per la sopravvivenza stessa del Made in Italy. Che già si ritrova ostaggio dell’Italian sounding, un fenomeno, ormai molto diffuso, che consiste nell’associazione di parole, immagini o colori evocativi dell’Italia per pubblicizzare prodotti che di italiano non hanno nulla.

Il caso più eclatante, denunciato proprio questa mattina, è l’associazione della mafia e di Cosa nostra al cibo: «Mafia coffee», «Il padrino vino Syrah», «Palermo mafia shooting (spezie). Questi solo alcuni dei prodotti esposti da Coldiretti per denunciare il fenomeno sempre più dilagante. Ma a spiccare, sul tavolo, il whiskey «Cosa nostra», la cui bottiglia è a forma di mitragliatrice.

«Oggi lo denunciamo dalla Sicilia, per evocare invece il bello che questa regione può offrire - ha detto Ettore Prandini, presidente nazionale Coldiretti -, in termini di grande opportunità di crescita e di sviluppo e valore economico: oggi l’Isola esporta soltanto 2 miliardi di euro in termini di valore commerciale di prodotti agroalimentari. Nulla rispetto a ciò che potrebbe esser in grado di fare: servono grandi investimenti anche di carattere infrastrutturale ed è proprio il lavoro che Coldiretti sta facendo con i governi che si sono succeduti in questi anni - ha proseguito Prandini - ma partiamo anche dalla denuncia, forte, del nome ‘’mafia’’ legato all’agroalimentare. Ci stiamo impegnando a livello europeo per ottenere una norma che vieti di commercializzare dei prodotti agroalimentari, che con il nostro Paese non hanno nulla a che fare».

Un business, questo legato al nome di Cosa nostra e della mafia, che si aggira sulle decine di milioni di euro: «Il web è invaso da prodotti di questo tipo - spiega Alessandro Apolito, responsabile nazionale della filiera -. Addirittura circola anche un libro di ricette per fare le ricette della mafia. Ma la cosa più grave - prosegue - è che questi prodotti si trovano anche nel fiere internazionali».

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