PALERMO. Tornano a protestare i lavoratori Almaviva di Palermo che chiedono di non essere trasferiti in Calabria come prevede un piano del call center. Hanno deciso di manifestare con un sit-in in via Cordova a Palermo, dove è previsto un incontro tra l'azienda e i sindacati sulle procedure di trasferimento di 150 addetti su 398 da Palermo a Rende, in Calabria, per la dismissione di una commessa Enel.
Per oggi i sindacati hanno proclamato una giornata di sciopero; al sit-in ha preso parte anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Gli operatori di Almaviva Contact a Palermo, Roma e Napoli sono in solidarietà fino al 30 novembre.
L’Enel attualmente non ha effettuato ancora il passaggio della commessa verso la nuova azienda, che probabilmente avverrà entro la fine dell’anno. “Intanto 154 lavoratori Almaviva di Palermo hanno ricevuto una lettera di trasferimento nella sede di Rende in Calabria. Gli operatori sono sotto ammortizzatori sociali e non possono essere licenziati, ma solo spostati - spiega Rosalba Vella della segreteria Slc Cgil di Palermo –. Purtroppo si tratta di un ricatto aziendale. Una persona che lavora a Palermo o in Calabria ha lo stesso costo per l’azienda. Mentre per un lavoratore che guadagna circa 700 euro mensili, spostarsi dalla propria città significa allontanarsi dalla famiglia d’origine che lo sostiene per vivere. La richiesta è di remotizzare il lavoro e ritirare così le lettere di spostamento in Calabria”.
I lavoratori dell’azienda di call center Almaviva di Palermo sono sul piede di guerra. “L’azienda negli ultimi due mesi ha aperto altre due sedi in Romania, Paese dell’Unione europea, dove però il costo del lavoro è dimezzato. Al Mise abbiamo denunciato questa mercificazione dei lavoratori – spiega Rosalba Vella- Le aziende aprono i battenti in Italia, con tutte le agevolazioni del caso, ma poi spostano le loro sedi fuori perché il costo del lavoro è minore. Noi vorremmo che si aprisse un tavolo tecnico per il settore dei call center perché non vengano spostate le persone ma solo le chiamate. Ma soprattutto chiediamo che le aziende che inizialmente danno lavoro in Italia non chiudano i battenti per migrare poi all’estero. Se fosse un problema di qualità del lavoro, che all’estero viene effettuato meglio, noi non ci permetteremmo di parlare, ma qui è solo una questione di soldi”.
Nel video le interviste a Emiliano Cammarata e Daniela d'Alfonso.
Immagini di Marco Gullà
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