Bendicò, il cane del Gattopardo, non era solo una comparsa. Lo scrive lo stesso Giuseppe Tomasi di Lampedusa in una lettera inedita, inviata nel maggio del 1957 al suo amico, il barone Enrico Merlo di Tagliavia, presentando quel cane addirittura come la chiave di lettura del romanzo stesso. Vita e morte, moto e stasi, tutto cambia per non cambiare nulla, sono perfettamente delineati dalla descrizione di Bendicò, una sorta di linea guida per interpretare il libro. E il volo finale dalla finestra, quando il cane da morto sembra quasi vivo e sembra muovere le zampe volteggiando in aria, lascia trasparire il continuo gioco tra finzione e realtà che è la sintesi stessa del capolavoro dello scrittore palermitano.
Ma Bendicò, a quanto pare, nella realtà non fece nessun volo dalla finestra. A fare questa incredibile rivelazione è lo storico Salvatore Savoia che, tra inediti e ritrovamenti, risale a verità nuove e sconosciute. Ne ha parlato insieme ad un folto gruppo di intellettuali e curiosi presso la biblioteca sotto il Famedio di Casa Professa, in un'iniziativa che rientra tra gli appuntamenti del Genio di Palermo, organizzato dalla fondazione Le Vie dei Tesori con l’università degli studi di Palermo.
Savoia, appassionato raccoglitore di storie, tra lettere, fascicoli, biglietti, ha tirato fuori la ricevuta dell’imbalsamazione del cane del Gattopardo, che è probabilmente lo spunto da cui nacque l'eclettico cane e a volte incontenibile Bendicò. Nel suo racconto lo storico tratteggia la figura di Tomasi di Lampedusa, inconsapevole del suo valore, un uomo silenzioso, ritirato, che ben poco possedeva della ricchezza dei suoi avi perché, da altri documenti ritrovati si scopre che lo scrittore del Gattopardo era povero: quando arrivò l’eredità, dopo 65 anni, non esisteva più nulla. Palazzi, somme, persino le terre dove oggi sorge la discarica di Bellolampo, tutto era stato venduto o cancellato.
“Dalle carte di famiglia è uscito fuori un documento che ha qualcosa di straordinario – afferma lo storico Salvatore Savoia - si tratta del progetto di divisione e la successiva distribuzione dei beni. Nel 1950 si concludeva una peripezia durata 65 anni dopo la morte del nonno del principe e bisnonno degli eredi. Assieme a loro morivano anche i beni che già si erano dissolti e prosciugati. E’ emersa anche la prova che attesta che Bendicò non era una invenzione di Tomasi né di Luchino Visconti. Esisteva davvero questo cane. Era stato imbalsamato nel 1882 - spiega Savoia - per la somma di 81 lire. La sua ricomparsa in questi scritti mi ha commosso”.
Nel video l'intervista allo storico Salvatore Savoia
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