Essere bambini e ammalati è contro natura. Quasi un sacrilegio, sul quale si evita di soffermarsi.
«Non avere paura» con le sue «dodici storie di ri-nascita» (Torri del vento ed.), a cura di Cristina Arcuri, fa invece una scelta opposta: racconta.
E mentre lo fa, qualcosa evolve da pagina a emozione, ricordando ciò che siamo: gente affacciata sul disagio, anche se abile a non guardarlo in faccia. Se il rapporto tra scrittura e sofferenza è spesso incline a derapate da fotoromanzo, qui non succede, perché i racconti sono firmati dagli stessi ragazzi siciliani guariti da leucemie e tumori dell'infanzia e qui il carattere e il linguaggio reale irrompono nella quotidianità della malattia e delle sue cure crudeli, in qualche modo mitigando perfino il golgota infantile di un ciclo chemioterapico.
Le vite di Delia Cottone, Cristina Arnone, Martina Cannonito, Loredana Uccello, Ilenia Rubino, Gabriele Amorello, Manuel Ruben Paolino, Ilenia Coppola, Giulio Carramusa, Alessandro Bruno, Francesca Delfino, Rosalia Guarino, che sono stati bambini e ragazzi ospedalizzati e oggi hanno tra i 20 e i 37 anni, ri-perimetrano il senso del male, non più nemico che annienta i giorni degli esseri umani ma ingrediente di esistenze che non accettano di essere schiacciate.
Un sentimento di cui è impossibile ignorare la forza. Ciascuno di loro - che ha avuto il sostegno di Aslti-Liberi di Crescere, l'associazione di genitori che riceverà gli introiti delle vendite del libro - ha lottato contro la propria malattia, ciascuno lo ha fatto con la sfacciataggine che hanno solo i ragazzi, sganciati dalla paura di chiamare le cose con il proprio nome.
Conferma la Arcuri che ha presentato il libro a Palazzo Branciforte a Palermo, insieme alla giornalista Marina Turco:
«Due i punti fermi del progetto: dare una definizione precisa alla malattia ed evitare semplificazioni. La parola usata dai protagonisti è cancro, non male incurabile o brutto male, espressioni che lo indicano, evitando di nominarlo come oggi - ma sempre meno - ancora si fa. I ragazzi sono “scientifici” nel denominare le patologie e le terapie alle quali sono stati sottoposti». Come Manuel che, nel racconto dal titolo «Il Cuoco a Bruxelles», scrive di essere stato per i medici un vero rompiscatole perché, a dieci anni, voleva conoscere i nomi dei farmaci che gli iniettavano e sapere tutto delle terapie. Si era ammalato a 10 anni e nelle cucine dell'Ospedale dei Bambini aveva sviluppato la passione per la cucina: oggi è cuoco all'Hotel Amigo di Bruxelles, 5 stelle, in attesa della stella Michelin. Altro punto: «Evitare una certa retorica del cancro che vuole inaffondabili coloro che sono riusciti a sconfiggerlo facendo affidamento su un presunto pensiero positivo. Purtroppo non è vero che chi ha più coraggio ce la fa».
Lo spiega Gabriele ne «L'appuntamento mancato»: «Perché ad alcuni venga concessa questa possibilità, (la salvezza) non lo sapremo mai, non potrà spiegarlo nemmeno la matematica, non esiste un teorema che lo dimostri, non aiuta il calcolo delle probabilità, né la statistica». Riprende la Arcuri: «È stata Loredana Uccello, che aveva incrociato le storie di vita e di guarigione a Palermo, nel reparto di Oncoematologia pediatrica dell'Ospedale Civico e dell'Ospedale dei Bambini, in anni diversi e in età diverse, a coinvolgermi in questo progetto. Un lavoro lungo, una strada in salita che alcuni hanno abbandonato: troppo forte da sopportare l'idea di raccontarsi».
Il libro è il segno che nell'Italia cialtrona e truffaldina con una politica senza cuore - lei sì, inguaribile malata - si è fatto largo il segno di un paese diverso, dove alla sofferenza dei piccoli malati, si associa il merito di chi li cura quotidianamente. I protagonisti di «Non avere paura» sono oggi genitori, alcuni si sono appena sposati, altri hanno un lavoro che amano, anche fuori dalla Sicilia, altri ancora hanno scelto una professione nell'ambito sanitario.
A Francesca, che oggi ha 26 anni e si è sposata lo scorso luglio, la leucemia è stata diagnosticata a 17 mesi: insistere con la chemio, nonostante gli effetti collaterali, l'ha spinta verso la guarigione. Alessandro è diventato papà un mese fa: con i suoi 37 anni è il più grande del gruppo e si è ammalato a tre anni. Il cancro gli ha lasciato un ricordo che lo emoziona tutt'ora: il profumo del limone appena tagliato nella Coca-cola che il padre gli offrì per aiutarlo a sopportare il dolore quando la condizione del dolore diventava essa stessa vita. Ilenia oggi culla la sua bionda e riccioluta piccola di un anno e mezzo, avuta dall'attuale compagno: ai tempi della malattia due ragazzi l'avevano mollata perché non tutti reggono lo stress delle terapie. E poi ci sono Rosalia e Giulio, vittime di bullismo durante la malattia. E c'è Delia che, a 9 anni con lucida dolcezza, ne «L'Amore che ho ricevuto in dono», chiede: «Mamma, ma qui che moda c'è, tutti senza capelli?».
Arcuri: «I racconti sono tutti uguali e diversi. Si parla di cancro senza sconti ma si parla anche di vita, di amore, quello che supera stereotipi, preconcetti, rifiuti. E ci sono anche mamme e papà che, distrutti dalla diagnosi, hanno sostenuto i figli trovando forze nascoste. Un incoraggiamento per chi oggi affronta il difficile percorso diagnostico e terapeutico».
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