CASTELBUONO. Alla fine il pubblico seduto sulla scalinata del castello di Castelbuono, pareva impazzito e non voleva che i musicisti smettessero di suonare. Stefano Di Battista, Claudio Giambruno, Giacomo Tantillo e i giovani partecipanti al primo Premio Marco Tamburini, hanno continuato ad oltranza, fino a tarda notte.
Momento di incontro, l’assegnazione del premio diretto dal sassofonista Claudio Giambruno e dedicato al trombettista scomparso tre mesi fa. Hanno partecipato otto giovani talenti del jazz under 30: e data la loro bravura e la difficoltà di scegliere, è stato assegnato un ex aequo al sassofonista Francesco Patti e al trombettista Daniele Raimondi.
Sono stati loro a vincere un viaggio nella capitale del jazz, New York, ma soprattutto un concerto a San Paolo, in Brasile, in aprile, sul palco della manifestazione “I Love Sicily” diretta da Totò Alamia, e gemellata da quest’anno con il CastelbuonoJazzFest diretto da Angelo Butera. Al secondo posto si è piazzato Claudio Guarcello (pianoforte), mentre è arrivato terzo Paolo Vicari (batteria). Una menzione speciale è andata al sassofonista Jossy Botte che si sta preparando a partecipare alla prossima edizione.
La giuria del premio era formata, oltre che da Stefano Di Battista, da Ignazio Garsia, presidente del “Brass Group”; da Angelo Butera, dal sindaco Antonio Tumminello, da Olga Ardini, direttore del “Premio Ardini“, dai musicisti Giacomo Tantillo e Claudio Giambruno, che avevano suonato l’anno scorso con Tamburini.
“Un concerto e quindi una vetrina internazionale sono il riconoscimento migliore che si può offrire ad jazzista emergente – spiega Giambruno, che ha ideato il premio -; è stata una gara molto dura perché il livello degli 8 concorrenti era pazzesco. La scelta è ricaduta sui due ragazzi che dimostravano il giusto feeling jazz”.
Archiviata la prima edizione del Premio Tamburini, si sta già lavorando alla seconda, il cui format potrebbe prevedere una divisione per categorie. “Vedere tutti questi ragazzi sul palco, a fianco di musicisti di spessore – dice Angelo Butera -, e non riuscire a farli smettere di suonare, con il pubblico attorno a chiedere ancora, e ancora…ci fa credere ancora una volta che la musica non ha confini né generi”.
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