«Ogni manganellata ha ucciso Falcone - ha detto Andrea La Torre, esponente dell’associazione Attivamente -. Questo è quello che è successo martedì». Il trentunesimo anniversario della strage di Capaci porta con sé strascichi e accuse. Il Coordinamento 23 maggio non ci sta e sotto le fronde dell’Albero Falcone a Palermo, dove due giorni fa gli è stato impedito di arrivare, fa sentire la propria voce in merito agli episodi avvenuti a ridosso del minuto di silenzio, quando tre blocchi della polizia in tenuta antisommossa hanno sbarrato la strada alle oltre mille persone che, una volta sciolto il corteo partito dalla facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda, avrebbero voluto avvicinarsi al luogo simbolo in via Notarbartolo per rendere omaggio al giudice.
Studenti, docenti e sindacalisti danno la loro versione di quei momenti e delle ore precedenti: «Avevamo fatto presente al comitato di sicurezza che fermare il corteo, come abbiamo fatto, nel luogo indicato dall’ordinanza, emessa all’ultimo per fare uno sgambetto alla nostra manifestazione, avrebbe creato disordine pubblico - sottolinea Jamil El Sadi, dell’associazione Our Voice e tra i coordinatori del 23 maggio -. Noi abbiamo seguito quello che ha detto il questore e si è verificato quanto predetto. La polizia in tenuta antisommossa piazzata a non far passare nessun manifestante, non il corteo, ripeto già sciolto, ma i manifestanti, è ovvio che crei attrito». Il coordinamento esprime vicinanza e solidarietà agli agenti feriti, ma rilancia: «Noi abbiamo persone che hanno riportato fratture, gente immobilizzata, agenti antisommossa che non rispondevano neanche più alla Digos, che intimava di fermare le manganellate». E attacca chi li ha voluti tenere lontani: «Non ci si può permettere di fare antimafia di serie A e di serie B. Non ci possono essere associazioni o fondazioni che stigmatizzano delle realtà sociali in base a chi ha o non ha il diritto di manifestare per commemorare una strage che ha coinvolto la città e l’intero Paese. Siamo stati boicottati, hanno provato a censurarci in ogni modo». La rabbia è tanta. Dal palco, improvvisato, si parla di «antimafia ipocrita» e si invita chi era sul palco allestito martedì a prendere le distanze da quello che è successo.
Tra le tante associazioni e studenti che hanno preso la parola, c’è anche chi ha voluto rivivere quei minuti di caos: «C’erano ragazzi sotto i 15 anni e perone in sedia a rotelle quasi investite dai mezzi della polizia - racconta Marta Capaccioni, studentessa di Giurisprudenza -. Ragazzi che hanno passato il cordone pacificamente sono stati presi e buttati a terra, altri hanno riportato ferite alle gambe. Abbiamo foto e referti». Scene, quelle del blocco di polizia, che hanno ricordato il giorno dei funerali di Giovanni Falcone. «Le stesse scene le ho vissute allora ai funerali - sottolinea Rosario Rappa, ex sindacalista Cgil -, quando fu blindata la Cattedrale perché il popolo che stava con il giudice venisse lasciato fuori perché dentro c’erano le istituzioni, le stesse che lo avevano isolato». Al fianco del coordinamento anche Luisa Impastato, nipote di Peppino: «Mostrare che non hanno il diritto di manifestare ed esprimere il loro dissenso non si confà con le risposte che i giovani oggi si aspettano - dice -. Io credo che sia necessario che l’antimafia riparta dal basso e dalla costruzione di una cultura antimafia che pretenda diritti, una politica senza ambiguità e che ai proclami vengano seguiti atteggiamenti coerenti».
Le interviste a Rosario Rappa, ex sindacalista Cgil - Marta Capaccioni, Our Voice - Jamie El Sadi our voice - Luisa Impastato
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