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Giardinello, il calvario dell'azienda che si è opposta alla mafia: "Lo Stato ci aiuti a lavorare"

Nel 2013 denunciarono cosa nostra. Dalle loro dichiarazioni scattarono indagini che portarono a blitz, arresti e condanne. Ma la loro vita da allora è un inferno, tra minacce, clima di paura e il sostegno dello Stato che continuano a chiedere da anni: «Ma ci è stato negato».

In questo video Margherita Landa, che col marito Filippo Misuraca ha fondato la «Elimar srl», impresa edile di Giardinello in provincia di Palermo, lancia un nuovo appello. E adesso lo rivolge anche al capo dello Stato Sergio Mattarella: «Siamo ancora qui a chiedere un po' di giustizia. Dal 2013 subiamo un calvario, sia da parte dei mafiosi che da parte dello Stato che ci dovrebbe proteggere con le leggi che sono attualmente in vigore».

Nonostante le numerose commesse del passato sparite nel nulla dopo che la famiglia Misuraca si è schierata contro la mafia, la Elimar ha continuato a lavorare. Intanto, nel 2015, Filippo Misuraca è stato dichiarato vittima di mafia, ma da allora non ha mai ricevuto il cosiddetto «mancato guadagno», accedendo al Fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell’usura, col quale è convinto che avrebbe potuto ridurre le perdite e i debiti. Due anni fa, la Procura aveva chiesto di dichiarare il fallimento per l'azienda a fronte di un debito con l’Erario lievitato negli anni fino a un milione e 900 mila euro. Richiesta che però è stata rigettata da un giudice che ha ritenuto non ci fossero i presupposti oggettivi.

E nell'attesa di ricevere il riconoscimento da parte dello Stato, i due imprenditori chiedono il beneficio della sospensione dei termini amministrativi ed esecutivi e delle scadenze fiscali. «È un documento - aggiunge Margherita Landa - che ci permette di andare avanti nell'attesa che ci venga riconosciuto quel "mancato guadagno" che attendiamo da ormai più di sette anni. Allo Stato chiedo, non solo per me ma anche per tutte le aziende che denunciano, di rivisitare le leggi e ricontrollare come funziona il percorso di chi si è ribellato alla mafia».

E poi l'appello a Mattarella: «Non siamo morti, siamo ancora qua e vorremmo continuare a vivere pensando di dare ai figli un avvenire. Non ci vogliamo vergognare della scelta che abbiamo fatto. Non vogliamo riconoscenza, ma vogliamo lavorare con la serenità di poterlo fare, non con la disperazione di ogni giorno e senza sapere come poter andare avanti».

Alle difficoltà nella gestione di un'azienda che ha detto no a estorsioni e mafiosi si aggiungono le tante intimidazioni ricevute in questi anni: proiettili nella posta, mazzi di fiori con bigliettini di minacce, auto incendiate, i cani uccisi.

Video di Marcella Chirchio

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