“Ascoltateci”, si legge sullo striscione delle famiglie di soggetti con disagi psichici. Si sentono abbandonate dalle istituzioni, mentre peggiora la salute dei ragazzi. Il colpo di grazia lo ha dato l’emergenza da Covid-19, ma i problemi assistenziali partono da più lontano.
Innanzitutto i fondi. Parrebbe che il Comune ne sia in possesso dal 2013, ma che siano vincolati e inaccessibili. Stop quindi ad attività riabilitative, volte a inserire nel mondo del lavoro e nella società i soggetti con disagi psichici. L’altra piaga è la carenza di personale nei centri di salute mentale: pochi psichiatri, psicologi, assistenti sociali.
C’è chi va in pensione senza che venga un sostituto, e perfino durante il lockdown gli operatori che sarebbero dovuti andare a domicilio non si sono mai visti. Il tutto si converte in un grave disservizio che fa sì che siano le famiglie insieme a dei privati, per chi può permetterselo, a occuparsi completamente dei propri figli.
"Spesso vivono veramente ai margini - racconta Laura Marsala, dell’associazione Punto di Partenza - in questo periodo di pandemia i ragazzi sono tornati indietro di anni. Hanno paura a uscire, difficoltà a relazionarsi con gli altri. Questi gesti per loro sono conquiste dovute alla riabilitazione, adesso però si è fermato tutto”.
In ballo c’è anche il valore che viene dato alla salute mentale, e la dignità, di riflesso, che viene restituita ai pazienti. “Ormai siamo al collasso - testimonia Roberto Pezzano, psicologo direttivo Unasam nazionale - si fa solo attività ambulatoriale, i progetti personalizzati hanno dei tempi molto più lunghi e sono diminuiti tantissimo. Per questo è cruciale l’aumento delle figure professionali all’interno delle strutture”.
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