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Apertura anno giudiziario, Frasca: "Mafia sotto scacco ma può rialzarsi"

La mafia palermitana sotto scacco. Continue vittorie dello Stato nonostante la penuria di magistrati. E' uno dei punti principali affrontati dal presidente della Corte di appello di Palermo Matteo Frasca in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. "La pressione giudiziaria sulla cosa nostra della provincia di Palermo - scrive nella sua relazione - ha raggiunto la massima intensità: ogni mese, di regola, vengono eseguite alcune decine di misure cautelari detentive. L’efficacia del contrasto sarebbe notevolmente incrementata se i tempi di decisione del gip non fossero, soprattutto per carenza di magistrati e di personale amministrativo eccessivamente dilatati (anche se recentemente si nota una riduzione dei tempi di attesa). Nonostante ciò, l'attuale livello di contrasto alla cosa nostra palermitana si caratterizza spesso per una notevole tempestività".

Matteo Frasca ha aperto la cerimonia illustrando la sua relazione sullo stato della giustizia nel distretto. In rappresentanza del ministro della Giustizia presente il capo del Dap Francesco Basentini, mentre per il Csm l'ex pm di Palermo Nino Di Matteo.

"Attualmente - dice Frasca - è accuratamente monitorata buona parte di tutte le attività di cosa nostra, tanto che si percepiscono stati di stress di alcuni associati che, però, continuano con pervicacia granitica a delinquere, senza nutrire alcun dubbio sull'opportunità di una desistenza".

Ma la mafia è in grado di risollevarsi, avverte. "Cosa nostra continua ad esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, imprenditoriali e sociali del territorio – scrive Frasca - se negli anni precedenti il dato statistico aveva mostrato qualche cenno di diminuzione va sottolineato che nell'anno in corso le denunce sono state ben 151 a fronte delle 65 e 69 dei due anni immediatamente precedenti. A livello distrettuale quindi si registra un aumento di ben il 132%”.

Un passaggio della relazione è dedicato alle dinamiche in provincia di Trapani che "hanno registrato ancora il potere mafioso saldamente nelle mani della famiglia Messina Denaro che vanta un elevato novero di suoi componenti che hanno ricoperto e ricoprono tutt'ora ruoli di assoluto rilievo all’interno dell’intera provincia mafiosa trapanese".

Analizzando i dati trasmessi dal procuratore Francesco Lo Voi - capo della Dda del distretto - la relazione prosegue: «L'azione investigativa portata avanti dalle diverse forze di polizia sotto il coordinamento della Dda, finalizzata a localizzare il latitante e a disarticolare il reticolo di protezione che consente a Matteo Messina Denaro tuttora di mantenere la latitanza e governare il territorio trapanese, ha prodotto nell’anno diversi arresti, anche vicinissimi al contesto relazionale del latitante».

Inoltre, si sono registrate ambigue e illecite interferenze nell’attività di ricerca e localizzazione del latitante da parte di un ex politico locale coinvolto in passato in vicende mafiose e ufficiali di p.g. appartenenti a organi impegnati nell’attività di contrasto a Cosa nostra. Alcune indagini poi, hanno svelato intrecci e cointeressenze - si legge - tra il mondo imprenditoriale più vicino a Cosa nostra trapanese e il mondo della politica, con diverse indagini durante le quali sono state eseguite misure cautelari ed elevate imputazioni nei confronti di ex deputati regionali e nazionali, esponenti politici locali e canditati nelle diverse competizioni elettorali".

Nino Di Matteo, invece, rivolgendosi ai numerosi magistrati presenti in rappresentanza del Csm ha detto: «Sono certo che saprete soffocare sul nascere il pericolo di un ritorno al passato, a quegli opachi contesti nei quali trovarono terreno fertile stragi e delitti eccellenti. Spero che Palermo abbia la volontà è la capacità di continuare a rappresentare l’esempio trainante di una giurisdizione che non ha paura di estendere ai potenti il controllo di legalità», ha proseguito l’ex pubblico ministero che aveva istruito il processo Stato-mafia.

Il Csm deve essere "percepito come baluardo dell’indipendenza della magistratura nel suo complesso e di ciascun magistrato, uno scudo contro quegli attacchi che all’indipendenza vengono quotidianamente mossi dall’esterno e dall’interno dell’ordine giudiziario", ha aggiunto Di Matteo.

«Il Consiglio superiore - ha detto ancora - deve dimostrare con i fatti di volere cambiare pagina, abbandonando per sempre quelle logiche che lo hanno trasformato in un centro di potere lontano, quando addirittura non ostile, i magistrati più liberi e indipendenti».

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