In via Pipitone Federico è stata deposta una corona d’alloro a 36 anni dalla strage in cui con un’autobomba vennero uccisi il giudice Rocco Chinnici, i carabinieri di scorta, maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
Alla cerimonia hanno preso parte, tra gli altri, il comandante interregionale dei carabinieri Culqualber, generale di corpo d’armata Luigi Robusto, il comandante della legione carabinieri Sicilia, generale di divisione Giovanni Cataldo, l’assessore regionale all’Istruzione, Roberto Lagalla, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, la figlia del giudice, Caterina Chinnici e familiari delle altre vittime tra cui Vincenzo, il padre del poliziotto Nino Agostino, il prefetto Antonella De Miro, il questore, Renato Cortese, e i ragazzi di Libera.
«Quello che forse oggi segna di più questo anniversario, viene da quella audizione di Paolo Borsellino che è stata pubblicata dalla commissione nazionale Antimafia nella quale, molti anni dopo, rispetto al momento in cui fu ucciso mio padre, Paolo Borsellino sottolinea la solitudine nella quale quei magistrati hanno lavorato», dice Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco, a margine delle commemorazioni che si sono svolte stamane a Palermo in via Pipitone Federico, luogo della strage in cui persero la vita anche i carabinieri di scorta, maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
«Il fatto che le istituzioni fossero lontane, non ha aiutato a comprendere forse ancora la difficoltà di quel lavoro, la gravità di quei fatti di mafia - ha proseguito - e se Paolo Borsellino, alla fine degli anni '80 parla di quella solitudine, forse oggi riusciamo a comprendere meglio la solitudine di mio padre che lavorava ai fatti di mafia quando di mafia ancora non si parlava neanche negli ambienti giudiziari. E oggi, forse, assume un significato ancora più forte, purtroppo, quel sacrificio perchè oggi comprendiamo ancora di più veramente la dimensione di quell'impegno».
Nel video le interviste al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e al comandante interregionale dei carabinieri, Luigi Robusto.
«Non è giusto morire a trenta e pochi anni in più accoltellato da un folle. Ma se guardiamo anche indietro al passato i carabinieri, e a coloro che hanno rivestito un uniforme, hanno sempre rischiato in questo modo». Così, a Palermo, il comandante interregionale dei carabinieri Culqualber, generale di corpo d’armata Luigi Robusto, a margine della cerimonia a 36 anni dalla strage in via Pipitone Federico, in cui venne ucciso il giudice Chinnici, in merito alla tragica fine del carabiniere ucciso a Roma.
«E' bello vedere tanta solidarietà, tanta partecipazione, per un qualcosa che il carabiniere vive con pudore - ha proseguito - il carabiniere, se è carabiniere vero, vive con pudore la gloria come la sconfitta. E’ giusto che lo faccia, ed è giusto che sia lui a pagare. Ma sarebbe anche giusto se tutti ripensassimo un pò al modo in cui viviamo, con meno indifferenza. Perchè vedendo quello che accade ogni giorno, a volte soltanto in mezzo alla strada, non dico che si giustifichi tanta violenza, ma non ci si stupisce più di tanto».
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