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Il ricordo di Chinnici, la figlia: "Lotta alla mafia, seguire le linee tracciate da mio padre"

PALERMO. Commemorato oggi, in via Pipitone Federico a Palermo, il giudice Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nella strage del 29 luglio 1983 dove morirono anche il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi.

«L'importante è non abbassare la guardia e proseguire nelle linee tracciate da mio padre, che si sono rivelate vincenti. In questi anni abbiamo parlato tanto di legalità, ma non basta solo parlarne, dobbiamo porci come modelli credibili. La lotta contro la criminalità organizzata non è persa: non è stata ancora vinta e per questo non bisogna abbassare la guardia». L’ha detto Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso il 29 luglio di 34 anni fa, magistrato anche lei e attualmente europarlamentare del Pd.

La figlia di Rocco Chinnici ha partecipato alla commemorazione in via Pipitone Federico, a Palermo, luogo della strage in cui morirono anche i carabinieri della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi.

«Sta emergendo quello che si è verificato negli anni: c'è un’antimafia seria e una di facciata. Il fatto che in questo periodo sta emergendo la seconda, non può che essere positivo per sgombrare il campo e puntare su quella che vede come protagonista non solo le forze dell’ordine e della magistratura, ma un contesto più ampio di cittadini e associazioni di giovani su cui io punto molto per il cambiamento di questa città», ha concluso Caterina Chinnici.

«Papà certamente fu lasciato solo e isolato in momento in cui la sua azione non solo non venne compresa ma fu anche osteggiata da parte delle istituzione che in quegli anni erano in combutta con la criminalità organizzata. Certo, leggendo oggi certe pagine scritte da lui si vede come molte delle sue idee sono attuali. Mio padre inaugurò quella figura di magistrato come la intendiamo oggi: non un funzionario dello Stato, ma un uomo che scende nel sociale, che si confronta e parla con i giovani. Questo è il suo messaggio più importante». L’ha detto Giovanni Chinnici, figlio di Rocco, ucciso 34 anni fa davanti alla sua casa di via Pipitone Federico, a Palermo, dove è stato commemorato alla presenza del comandante generale dei Carabinieri Tullio del Sette, dei vertici delle forze dell’ordine, del prefetto di Palermo Antonella De Miro, del presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone.

«Mio padre ebbe due intuizioni - aggiunge - Comprese negli anni '70 che la mafia cambiava pelle e diventava potente grazie ai proventi del traffico di stupefacenti e capì che il singolo magistrato non poteva essere efficace; creò un gruppo di lavoro il pool antimafia, dove chiamò Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. La seconda intuizione fu quella di colpire i patrimoni, a partire dal 1982 con la legge Rognoni-La Torre. Infine, stabilì un rapporto con i giovani, in anni in cui c'era chi metteva in dubbio l’esistenza della mafia. Invece, lui andò nelle scuole a parlare con i ragazzi».

«Un altro ricordo doloroso. 29 luglio 1983, Via Pipitone, Palermo: la mafia uccide con un’autobomba Rocco Chinnici e, con lui, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, il brigadiere Salvatore Bartolotta, il portiere dello stabile in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi. Chinnici fu tra i primi a capire la dimensione e la peculiarità della mafia. Fu proprio lui, ad esempio, a insistere per il coordinamento delle indagini su 'cosa nostra', l’unico modo per poterla combattere in modo efficace: fu l’inizio del famoso pool antimafia di Falcone e Borsellino, quello che pochi anni dopo portò alla sbarra la Cupola nel maxiprocesso. «Papà Rocco» mi ha insegnato molto: io - come altri giovani magistrati che lui amabilmente chiamava «i plasmoniani» - ho imparato tantissimo da questo incorruttibile uomo, profondamente innamorato del suo lavoro e sinceramente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata». Lo afferma in una nota il presidente del Senato Pietro Grasso.

Immagini di Salvo Militello

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