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Mafia, disoccupazione e indifferenza: studenti-attori denunciano i mali sociali a Belmonte

Tutti in piedi allo spettacolo degli studenti dell’istituto comprensivo Emanuele Ventimiglia di Belmonte Mezzagno. Dopo un anno di laboratorio teatrale, i ragazzi della 1ª e 2ª G hanno portato in scena «Il seme del male» dando prova dell’impegno ma anche del loro talento. Un dramma in 3 atti, scritto da Rocco Chinnici e diretto da Giovanna Allotta, per sensibilizzare alla diffusione della cultura della legalità.

«Dopo i sacrifici di tanti uomini che per combattere la mafia hanno perso la loro vita – commenta il dirigente scolastico Salvatore Mazzamuto - oggi sono le nuove generazioni a portare avanti la cultura della legalità fondata sul rispetto delle norme e del prossimo. Si chiede ai giovani di riflettere sui concetti di cittadinanza attiva, giustizia e responsabilità individuale, di acquisire consapevolezza e promuovere cambiamenti sociali attraverso azioni concrete. Occorre insegnare loro che ogni atto che si compie, deve essere consapevole, responsabile e coerente».

Ma la bellezza del progetto, coordinato dall’insegnante Caterina Buttitta, sta anche nel fatto che a seguire i giovani attori per tutto l’anno, sia stata Giovanna Allotta, una regista, presidente di un’associazione di ragazzi diversamente abili che, seduta sulla sua sedia a rotelle, ha dimostrato con i fatti che la diversità non è un limite. «Quando mi sono approcciata ai ragazzi per la prima volta non è stato facile, io diversamente abile dovevo occuparmi di studenti normodotati – spiega la regista - Quando abbiamo cominciato a lavorare, mi sono resa conto che i ragazzi non vedevano più la sedia a rotelle. Il teatro è cultura ma è anche condivisione e portatore di messaggi importanti. L’opera che abbiamo rappresentato denuncia i mali sociali: la disoccupazione, l’indifferenza, la mafia. Per tutta la durata del dramma, sembrano averla vinta, fino alla fine, l’egoismo, la crudeltà, l’opportunismo, la mafia, ma nelle battute finali, un barlume di lucidità e una dignità ritrovata, fanno sperare in una nuova vita e in un mondo migliore». Poi conclude: «Perché nessuno può perdere la speranza, ce lo hanno insegnato gli uomini e le donne che sono morti per noi”.

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