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L'omicidio in famiglia a Palermo: ecco perché a Ilenia e ai suoi figli viene restituita la libertà

La madre e i due figli condannati in via definitiva per l’omicidio del marito e del papà lasciano il carcere e ottengono l’affidamento in prova ai servizi sociali, un’occasione per cominciare una nuova vita, dopo un percorso di ravvedimento maturato in carcere. A Salvatrice Spataro, detta Ilenia, Mario e Vittorio Ferrera, che il 14 dicembre del 2018 uccisero con 57 coltellate nella camera da letto della loro casa di via Falsomiele, a Palermo, Pietro Ferrera, un ex militare e gestore di un bar a Ballarò, dopo lunghi anni di violenze e sopraffazioni tra le mura domestiche, è stata concessa dal tribunale di sorveglianza una importante opportunità per voltare pagina dopo un passato sanguinoso. I giudici hanno accolto le istanze dei difensori dei tre, gli avvocati Giovanni Castronovo e Simona Maria La Verde, che hanno presentato articolate memorie sul cammino intrapreso dal nucleo familiare durante i cinque anni di detenzione (la fine della pena è prevista per il 2027).

Salvatrice Ilenia Spataro e i suoi due figli sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, a scontare 9 anni di reclusione. In primo grado, con il rito abbreviato, il gup Guglielmo Nicastro aveva inflitto loro 14 anni, escludendo l’aggravante della crudeltà. Successivamente la corte di assise d’appello, presieduta da Angelo Pellino, aveva ridotto la pena a 9 anni con il riconoscimento delle attenuanti generiche. E poi la decisione era passata in cosa giudicata.

«Dietro il delitto, apparentemente ingiustificato ed efferato, si celano tutta una serie di maltrattamenti, violenze, angherie e soprusi di ogni genere, perpetrati per oltre 20 anni dalla vittima ai danni in particolar modo della moglie, ma anche nei confronti dei figli - spiegano i legali dei tre -. La sera del delitto la Spataro, esasperata dall’ennesimo episodio di violenza subita, prese un coltello da cucina ed accoltellò il marito. Costui si difese e cercò a sua volta di colpire la moglie. Ne seguì una violenta colluttazione, interrotta dall’arrivo dei figli Mario e Vittorio, che, percependo il pericolo in cui versava la madre, colpirono ripetutamente il padre, utilizzando dei piccoli coltellini da macellaio di cui erano in possesso (in virtù dell’attività lavorativa svolta) per autodifesa». Particolari che gli imputati hanno ricostruito drammaticamente sia durante le indagini sia durante i processi.

«La vicenda ha diviso l’opinione pubblica e gli imputati hanno trovato ampia solidarietà attraverso i social, tanto da dar luogo alla creazione di gruppi che chiedevano a gran voce giustizia per Salvatrice, Mario e Vittorio – aggiungono Castronovo e La Verde -. Addirittura, durante lo svolgimento del processo d’appello, proprio dinnanzi al palazzo di giustizia, amici e parenti degli imputati hanno tenuto dei veri e propri sit-in, durante i quali, con l’ausilio di magliette e striscioni, hanno gridato a gran voce “salvarsi la pelle non può essere un reato”».

Qualche tempo fa Ilenia Spataro, dopo un periodo trascorso in carcere, aveva ottenuto la detenzione domiciliare col braccialetto elettronico e anche il permesso di svolgere attività di volontariato, come addetta alle pulizie in un convento. Adesso il tribunale di sorveglianza (presidente Raimonda Tomasino, relatore Federico Cimò) l’ha rimessa in libertà e ha segnalato un andamento dell’esecuzione della pena positivo sotto ogni profilo, in quanto la detenuta ha accolto in modo attivo e propositivo gli spunti di riflessione, tanto da far emergere cambiamenti maturativi, sintomo di una concreta rivisitazione critica del proprio vissuto. «Sicché, considerata la pena già espiata anche in presofferto e tenuto conto dell’assenza di altri precedenti e procedimenti pendenti, del contesto in cui il fatto di reato ha avuto la sua genesi - aggiunge la difesa -, è possibile inquadrare la vicenda come una manifestazione criminosa unica ed irripetibile».

Adesso anche per Mario e Vittorio Ferrera, il collegio presieduto da Nicola Mazzamuto (relatore Simone Alecci), nel concedere il ritorno in libertà, dopo aver dato atto del positivo profilo dei due giovani, così come tratteggiato da educatori ed assistenti sociali in servizio presso la casa circondariale Pagliarelli, malgrado il titolo di reato di cui si sono resi responsabili, ha sottolineato come i giovani abbiano intrapreso un «percorso di seria revisione critica dell’unico episodio delittuoso di cui si sono resi artefici, valorizzando in tal modo un giudizio prognostico di segno positivo sull’opportunità extramuraria prospettata, che appare davvero orientata a favorire il percorso di crescita dei ragazzi ed il definitivo allineamento ai principi di legalità e di corretta convivenza civile. E ciò anche avuto riguardo al contesto familiare in cui gli istanti sono inseriti, alla loro giovane età, alla straordinaria peculiarità della fattispecie concreta scrutinata in sede di giudizio di cognizione, alla valida opportunità socializzante offerta, elementi questi che consentono la concessione del beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, misura questa che appare non solo idonea in funzione social-preventiva, ma dotata anche di adeguate potenzialità rieducative. Per Salvatrice Spataro, Mario e Vittorio Ferrera si apre dunque una nuova prospettiva di vita». E i tre hanno già avviato attività per inserirsi nel mondo del lavoro.

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