C’è anche l’ombra di Matteo Messina Denaro nell’operazione Crystal Tower, in cui il Gup del tribunale di Palermo Clelia Maltese ha condannato nove imputati e assolvendone cinque. E alla luce di quanto emerso dopo la cattura del superlatitante di Castelvetrano (Trapani) le dichiarazioni raccolte a suo tempo, proprio nell’ambito dell’indagine su rapporti mafiosi Sicilia-Usa, acquistano una diversa e più pregnante consistenza.
Il pentito Antonino Pipitone, che collabora dal 2016, aveva infatti dettato a verbale, parlando della posizione di Lorenzo «Lorenzino» Di Maggio, oggi condannato a due anni, in continuazione con una precedente condanna: «Gran parte dei messaggi, sia della provincia che dei mandamenti di Palermo che dovevano arrivare al superlatitante, arrivavano sempre a lui», cioè a Di Maggio. «I biglietti gli venivano consegnati nella sede dell’Amat, dove Di Maggio era impiegato - aveva aggiunto Pipitone - oppure a casa della madre», aveva specificato il collaboratore di giustizia originario di Carini (Palermo).
Pipitone aveva poi svelato, già sei anni fa, che i pizzini venivano portati a Campobello di Mazara (Trapani), il paese in cui Messina Denaro ha effettivamente condotto una latitanza dorata e super-appoggiata da numerosi fiancheggiatori fino al giorno della cattura, avvenuta il 16 gennaio a Palermo, alla clinica La Maddalena. Per portare i biglietti al boss veniva utilizzata l’auto del Comune di Torretta (Palermo), in cui lavorava Calogero Caruso, un altro degli imputati, condannato a 9 anni e 4 mesi. E sarebbe stato proprio Caruso a consegnare quei messaggi a Campobello di Mazara. Dove effettivamente, come è stato provato e documentato negli ultimi mesi, c’era - nascosto ma non troppo - l’uomo più ricercato d’Italia.
All’epoca gli accertamenti non avevano portato ad alcun esito, perchè già prima che i due postini venissero arrestati, il canale di collegamento con Messina Denaro era cambiato.
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