È una storia vecchia e finora senza soluzioni quella dei genitori dei bambini affetti da malattie metaboliche rare, che fino al 21 settembre scorso sono scesi in piazza, ancora una volta, per lanciare il loro grido d’allarme: “siamo stati dimenticati, siamo abbandonati”. Le accuse mosse contro la dirigenza dell’Ospedale Pediatrico “Giovanni Di Cristina” riguardano la scarsa assistenza, la mancanza di un reparto ad esclusività delle malattie metaboliche rare e la cattiva organizzazione; “problemi che già c’erano”, come testimonia Cinzia Maria Calderone, presidentessa dell’associazione IRIS, che da anni supporta le famiglie che si misurano con quadri patologici rari.
Negli anni molti pazienti si sono allontanati dall’ospedale, preferendo affidarsi a centri fuori dalla Sicilia, preferendo anche volare fino a Roma o a Milano, investendo tanto denaro, per monitorare la malattia, piuttosto che restare nelle mani di un’assistenza non bastevole. Una scelta, quella di viaggiare, non facile sia dal punto di vista economico, sia per i rischi che si corrono con la pandemia. Una storia vecchia, dunque, le cui condizioni oggi si aggravano, proprio con il nuovo aumento di casi Covid-19, che ha gettato nell’ombra le già dimenticate esigenze dei bambini affetti da malattie rare. Infatti, il reparto che nel 2015 era stato dedicato in esclusiva ai piccoli pazienti, durante il lockdown è stato adibito a reparto covid e poi restituito al termine della prima ondata di contagi – in pessime condizioni, commenta Calderone – con nuove destinazioni d’uso: è diventato uno spazio in cui si ricoverano casi di diversa natura, non più riservato ai bambini affetti da malattie metaboliche rare e in cui, nonostante sia un reparto ad utenza fissa, il personale non è mai lo stesso.
Spesso infatti accade che nelle aziende ospedaliere, a causa dell’enorme mole di lavoro da svolgere e della carenza di organico, il personale sia costretto a ruotare nei vari reparti, anche in quelli in cui non è abituato a lavorare. “Non si può avere in Sicilia un centro dedicato ai bambini affetti da malattie metaboliche rare, con un personale che non turni?”, domanda quindi Maria Calderone a nome dei circa 150 piccoli pazienti seguiti al Di Cristina. A questi è stata recentemente sottratta, inoltre, la ludoteca: uno spazio faticosamente conquistato, reso accogliente dai tanti giochi donati dall’associazione e da altri benefattori, e inaccessibile “causa covid”, come viene detto alle famiglie. Tuttavia ai bambini e ai genitori in ricovero, che poi non lasciano mai la struttura, viene fatto il tampone, e contestualmente la ludoteca è diventata oggi ufficio.
I familiari chiedono allora un altro locale, che non venga insomma negato l’unico spazio per il gioco a dei bambini che passano anche diversi mesi in ospedale: il gioco assume infatti un valore particolare nella quotidianità dei piccoli pazienti, che devono già lottare contro malattie dolorose, le cui aspettative di vita sono spesso incerte e le cui condizioni si aggravano all’improvviso, come nel caso di un bambino affetto da leucinosi che per un forte scompenso è stato tempo fa ricoverato in rianimazione. Quella dei genitori è comunque la manifestazione di una difficoltà, una richiesta d’aiuto: non c’è ostilità verso l’amministrazione, ma “i bambini non devono soffrire di questi problemi di gestione”, dice ancora Calderone. Nel frattempo, desiderosi di conoscere le ragioni della direzione e di fornire delle risposte alle domande sollevate dalle famiglie, abbiamo contattato Roberto Colletti, direttore generale, il quale non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione sulla questione.
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