PALERMO. I progetti di vendetta, il mandamento di Porta Nuova che doveva farla pagare a chi aveva osato uccidere Giuseppe Di Giacomo, la rappresaglia che stava per scattare a un mese di distanza dal delitto di via Eugenio L’Emiro: il Gup Lorenzo Iannelli condanna gli otto imputati del processo Iago che hanno scelto il rito abbreviato.
Non era contestato il tentativo di uccidere qualcuno, perché il progetto, sebbene in fase avanzata, non era ancora divenuto concreto. Grazie soprattutto all’indagine dei carabinieri, che, attraverso intercettazioni e «osservazioni» riuscirono a prevenire ed evitare una guerra di mafia, voluta dall’ergastolano Giovanni Di Giacomo, fratello di Giuseppe, pronto a muoversi anche dal carcere per organizzare la reazione.
Proprio Di Giacomo, che sta già scontando una condanna a vita, ha avuto altri 12 anni, come Tommaso Lo Presti del 1975, detto «il pacchione», come Nunzio Milano, uno dei capi di Porta Nuova, e come Vittorio Emanuele Lipari, vittima designata ma anche lui ritenuto associato mafioso. Una condanna lievemente inferiore è stata inflitta al figlio Onofrio Lipari, che ha avuto 10 anni e 8 mesi. Un altro fratello Di Giacomo, Marcello, ha avuto 8 anni e 8 mesi. Infine 8 anni ciascuno li hanno avuti Stefano Comandè e Francesco Zizza.
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