«Seguire l’istinto, rompere certi schemi, avere il coraggio di rischiare. Anche se le critiche ti massacrano». È questo il primo consiglio che Giancarlo Giannini, a Palermo per la presentazione del film «Ti ho cercata in tutti i necrologi», ha dato agli studenti del Centro sperimentale di cinematografia dei Cantieri Culturali alla Zisa, dove ieri pomeriggio si è tenuta una masterclass (testo a cura di Chiara Lizio, foto di Igor Petyx).
Futuri registi, aspiranti attori e direttori della fotografia, hanno rivolto le loro domande a una delle icone del cinema italiano che, nell’ultima pellicola, riveste il triplice ruolo di attore, regista e produttore. Il film, girato tra Siracusa, la Calabria, Roma - per gli interni - il Canada e l’Arizona, è tratto da una storia vera. «Un racconto che avevo sentito trent’anni fa – spiega Giannini – e che mi aveva affascinato. È una vicenda anticonvenzionale, molto lontana dalla realtà cui siamo abituati, in cui si miscelano misticismo e intrigo. Il suo senso è la ricerca di un’identità che oggi stiamo perdendo in un mondo sempre più confuso. Sono andato fuori dagli schemi - continua - ho rischiato, probabilmente perché ho alle spalle tanti anni di carriera, ma anche i giovani dovrebbero sperimentare, proporre, non avere paura di sbagliare. Spesso la critica italiana è la più feroce, lo dimostrano tanti capolavori nostrani che non trovano riscontri positivi nel nostro Paese ma sono apprezzati all’estero. Per questo non dovete arrendervi mai».
«Essere siciliani significa essere diversi», scriveva l’autore catanese: «I dialetti sono una lingua meravigliosa – riprende Giannini – perché danno più autenticità al personaggio. Sono particolarmente legato alla tradizione teatrale catanese, con maestri come Angelo Musco, Nino Martoglio e Turi Ferro».
I ragazzi gli chiedono poi i vantaggi e gli svantaggi del lavoro di regista. «Fare un film è molto difficile, anche quando ne hai fatti tanti - dice – non bisogna mai cullarsi sugli allori ma cercare sempre di partire da zero». Anche dopo 170 pellicole nel curriculum, quasi 50 anni davanti alla macchina da presa con mostri sacri come Risi, Monicelli, Visconti e una vita trascorsa sul palcoscenico teatrale. Esattamente da quando di anni ne aveva 18 e, un po’ per caso e un po’ per passione, da perito elettronico decise di fare l’attore. Poi, anche il doppiaggio, con la voce prestata ad Al Pacino, per dirne uno. O al personaggio cattivo di un videogame. «Il regista deve essere un po’ psicologo – spiega ancora agli studenti del Centro di Cinematografia – perché entra in contatto con tanti elementi umani, gli attori, egocentrici, eccentrici o intimiditi dalla telecamera: deve far sì che diventino amici di questa e non la temano». Dopo l’incontro con gli allievi, Giannini si è spostato al Tennis Club Palermo 2, in occasione del primo evento culturale dell’estate, per un cocktail a bordo piscina in una sala gremita dai soci del circolo di via San Lorenzo e dai loro ospiti. Lì è stato nominato socio onorario del club e ha ricevuto una divisa personalizzata anche se, ha detto: «Non so tenere una racchetta in mano, contrariamente a mio figlio che gioca molto bene». Ha poi concluso la giornata palermitana presenziando alla proiezione del suo film al cinema Fiamma.
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