Nell’epoca della formazione digitale, dei tutorial motivazionali e delle pedagogie istantanee, tornare a leggere don Bosco significa riscoprire una rivoluzione educativa che non ha mai perso la sua forza. Attraversando una fase storica in cui il mondo sembra tornare a dividersi, in cui le guerre in Medio Oriente accendono antiche paure e nuove diffidenze, l’oratorio continua a essere un luogo di incontro. Non un rifugio neutrale, ma una frontiera viva dove la fede non si impone, si propone. Dove l’altro, anche se differente, non è mai un nemico da convincere ma una persona da conoscere. Ed è così che in uno studio realizzato dal salesiano Don Stefano Cortesiano, che opera nella casa di Santa Chiara a Palermo, emerge un episodio rivelatore.
«Sfogliando le pagine di “Don Bosco e la Pia Società Salesiana” di Albert Du Bois del 1884, si resta colpiti da un episodio apparentemente marginale ma dal significato profondo – afferma don Cortesiano -: cinque ragazzi provenienti dall’Algeria, inizialmente ribelli e diffidenti, cambiano radicalmente grazie non tanto all’intervento diretto del santo, quanto all’azione dei suoi collaboratori. Don Bosco, in quel caso, non riesce neppure ad avvicinarli: viene respinto, graffiato, morso. Ma il suo metodo, il Sistema Preventivo, fa breccia comunque. L’autore, colpito dal fenomeno, scrive: «Egli medesimo, don Bosco, pare un’enciclopedia pedagogica personificata […] Ma s’ingannerebbe chi credesse che il dono delle trasformazioni morali appartenesse solo a lui». Un passaggio che rivela il cuore del sistema educativo salesiano: non un metodo accentrato sul fondatore, ma una comunità educante capace di trasformare le vite».
«L’intuizione nello studio è chiara – prosegue don Cortesiano - il Sistema Preventivo non nasce come teoria pedagogica, ma come esperienza di Fede incarnata. Prima ancora che “ragione, religione e amorevolezza”, i tre pilastri tanto noti a chi frequenta gli ambienti salesiani, rappresentano tre virtù teologali in azione: Speranza, Fede e Carità. Don Bosco educava alla vita e alla santità con una spiritualità concreta, fatta di cortili, sorrisi e presenza. Non scriveva trattati: viveva il Vangelo e lo traduceva nel quotidiano. Ogni ragazzo incontrato era un terreno unico, da coltivare con pazienza e fiducia».
Il Movimento Giovanile Salesiano che nei giorni scorsi ha festeggiato i 50 anni di vita alla presenza del Rettor Maggiore don Fabio Attard in visita a Catania, ha scelto proprio le tre virtù teologali come filo conduttore del cammino formativo: “Gioiosi nella Speranza”, “Saldi nella Fede”, “Operosi nella Carità” nel triennio 2024-2027.
«In un tempo che frammenta relazioni e identità – conclude don Cortesiano -, il messaggio di don Bosco risuona più che mai: non si può educare senza un cuore credente, senza speranza, senza amore concreto. Don Bosco non fu uno slogan né un personaggio da calendario. Fu e resta un uomo di Fede che trasformò la pedagogia in Vangelo vissuto. E forse, la sua lezione più grande per noi è questa: prima di formare teste, bisogna saper toccare i cuori. Ma soprattutto c'è uno stile educativo personalizzato, non unico ma cangiante perché le persone non sono mai le stesse ed un modo che può funzionare con un ragazzo non è detto funzioni con un altro; ma soprattutto uno stile che mette il bene del ragazzo al centro; non è don Bosco il protagonista, anzi è capace di farsi da parte ove necessario, farsi da parte dove sa che lui non può arrivare. Pedagogia personificata e bene dell’educando messo al centro; già nel 1800 don Bosco scriveva con la sua vita e il suo modo di fare manuali di pedagogia senza conoscere ancora Piaget, Dewey o la Montessori. A Valdocco avvengono miracoli perché non è don Bosco che opera, ma è la comunità educante».
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