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Monte Pellegrino e il rito dell’acchianata, il cuore pulsante di una parte di Palermo che riprende il cammino

L'iniziativa "L'Acchianata è donna", promossa da Confcommercio a Palermo

C’è una notte a Palermo che non assomiglia a nessun’altra ma descrive al meglio il popolo palermitano. È quella tra il 3 e il 4 settembre, quando una parte di città si mette in cammino per onorare la sua patrona, Santa Rosalia, la “Santuzza”. Per molti è un rito, per altri una novità. C'è chi la percorre per chiedere una grazia e chi per "grazia ricevuta". In ogni caso non serve un orologio per capire quando per ognuno inizia l’acchianata: basta guardare la scala acciottolata che porta in cima a Monte Pellegrino e che per una sera vede scorrere una scia ininterrotta di voci e di passi, di silenzi o di canti.

Un monte sacro

Monte Pellegrino è uno spazio sacro. E la sua sacralità non si è mai interrotta. Anzi, si è trasformata nel tempo: dal culto di Tanit alle presenze cristiane già dal VII secolo, come attesta alcune iscrizioni, per poi accogliere gli anacoreti e gli eremiti che cercavano sul monte silenzio e comunione col sacro. In questo solco è entrata Santa Rosalia, che ha scelto la montagna per il suo eremitaggio tra il silenzio della grotta e la natura, proseguendo un percorso di ascesi e ricerca di Dio in uno spazio segnato dalla memoria del sacro. Il culto di Tanit a Monte Pellegrino rappresenta uno degli esempi più evocativi di sacralità antica nella storia religiosa siciliana. Tanit, divinità fenicio-punica della fertilità e della protezione, era venerata sull’altura palermitana dove fu eretto un altare punico e una edicola a lei dedicata, strutture che ancora si intravedono nella roccia presso l’attuale ingresso del Santuario di Santa Rosalia. L’edicola, ricavata secondo la tipica forma a naos, era il cuore di un luogo sacro: si pensa che qui si custodisse il simulacro della dea Tanit e che la grotta fosse quasi ermeticamente chiusa, usata per inumazioni come prassi dei culti punici. La presenza di una falda acquifera proprio davanti all’edicola, poi nota come “Gorgo di Santa Rosalia”, è indizio della centralità delle acque nei riti precristiani, pratiche che associavano il sorgere dell’acqua dal vivo della roccia a un fenomeno divino e di guarigione.

Il rito che attraversa i secoli

Tornando all'acchianata, si parla anche di un rito che diventa voto e che si rinnova: uomini, donne, giovani e anziani percorrono da secoli quegli oltre tre chilometri della Scala Vecchia come gesto di fede, penitenza o ringraziamento. A volte scalzi, a volte in ginocchio nell'ultimo tratto ma tutti con un pensiero, una speranza, una promessa da portare lassù. L’acchianata non è solo un pellegrinaggio. È anche un rito che mescola anche sacro e profano, intimità e festa collettiva. C’è chi recita il rosario e chi cammina assorto. Ma c'è anche chi si ferma a raccontare storie o, come accade negli ultimi anni, a riempire alcuni spazi di arte. È un palcoscenico verticale di emozioni condivise. Telefonini che illuminano il percorso, famiglie che si stringono attorno a un voto, amici che trasformano la salita in un'avventura da trascrivere a colpi di scatti e video sui social. Arrivati al santuario, il respiro si fa più lento, quasi sospeso. Qui la città si raccoglie in preghiera, qualcuno veglia fino all’alba, altri portano ex voto.

Un’identità palermitana

L’acchianata, per certi versi, è anche un manifesto di identità. È il volto di Palermo, o meglio di una parte che su Monte Pellegrino mette insieme storia e fede, fra leggenda e vita quotidiana. L’acchianata è il cuore pulsante di una Palermo che riprende il cammino, in modo lento ma ostinato. Perché, in fondo, il palermitano sale come vive: senza fretta, con la consapevolezza che il percorso sarà faticoso ma inevitabile. Porta con sé il peso delle difficoltà quotidiane, dei disservizi, delle promesse mancate. Eppure non si ferma. Si affida alla tenacia, alla capacità di resistere, a quella forza silenziosa che gli consente di affrontare la salita anche quando sembra impossibile. In questa marcia collettiva c’è tutto il paradosso di Palermo: una città che spesso arranca, che inciampa e si rialza, che conosce bene il dolore ma non rinuncia mai alla speranza. È la testardaggine di chi continua a credere, di chi trasforma il cammino in un atto di fede e di identità. Così, ogni anno, la notte dell’acchianata diventa il simbolo di una città che non si arrende. Palermo è questa: lenta, contraddittoria, ferita, ma capace di rinnovare sempre la promessa del suo popolo. Un passo dopo l’altro, verso la Santuzza.

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