
C’è uno spettro che dal Dopoguerra in poi s’aggira sulla Sicilia. Uno dei tanti, a dire il vero. Ma questo ha un surplus di enigmatico e una prolungata damnatio memoriae. Il fantasma in questione ha i connotati, sbiaditi e quasi inafferrabili, di Antonio Canepa, palermitano, classe 1908.
Intellettuale, guerrigliero, fascista, antifascista, teorico ma anche uomo d’azione, politico, letterato… Canepa, chi era costui? Difficile afferrare e incasellare uno che fu, fra le molte cose, anche fondatore e comandante dell’Evis (l’esercito volontario indipendentista siciliano). A capo di un manipolo che guardavano al separatismo come alla carta giusta da tirare dal mazzo della Storia per dare un futuro emancipato e prospero alla Sicilia. Pazzi, filibustieri, sognatori e utopisti? L’unica certezza è che per alcuni di loro fu la carta sbagliata da tirare, carta di morte. Che Canepa e i suoi compagni trovarono ai bordi di una strada sterrata in località Murazzu ruttu, a Randazzo, in circostanze su cui le ombre calarono rapidamente. Era il 17 giugno del 1945 quando a un posto di blocco dei carabinieri una raffica di mitra stroncò le vite del capo dell'Evis e dei suoi compagni Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice. Altri tre riuscirono a fuggire. Si interruppe così l’esistenza di una delle figure carismatiche, ma per molti aspetti enigmatiche, del movimento indipendentista. Uno che aveva ben chiaro quale fosse la posta in gioco: «Non si può continuare come il passato. Per noi siciliani è questione di vita o di morte. Separarci o morire», scriveva Canepa.
Nato in una casa che s’affaccia sulla Cala, a Palermo, nel 1908, visse poi all’indirizzo di via Caltanissetta 4. E nel capoluogo ebbe affetti, studi, relazioni, nacquero e crebbero i due figli, Antonio e Teresa. Ed è dall’ispezione dei luoghi, potremmo dire, dall'ultimo indirizzo conosciuto, che Salvatore Falzone parte per tentare di tirare a galla il profilo di quest’uomo dall’esistenza breve e dall’impronta lunga. Lo fa in un denso libretto pubblicato da Rubettino: Un eroe da dimenticare. Attorno al mistero di Antonio Canepa (pp. 82, 11 euro; si presenta oggi alle 18 da Feltrinelli). Volumetto che sta dentro la collana dei Quaderni di Regalpetra, un piccola biblioteca legata agli interessi di Leonardo Sciascia e curata dal nipote Vito Catalano.
Emerge una figura, sfuggente, incerta. Un po’ sfocata. È come una fotografia che venga fuori dalla camera oscura leggermente fuori fuoco. Falzone la porta a galla pezzo dopo pezzo, ma ci avverte: «Ci sono uomini che non permettono di avvicinarsi troppo a sé, né da vivi né da morti. Canepa è uno di questi».
L'autore parte dallo scartafaccio di un anziano amico, che si era provato a scrivere una biografia canepiana, e da un articolo di Sciascia, giustappunto, in cui si fa riferimento al gioco mistificatorio e alle molte facce del personaggio.
Forse il personaggio è respingente per le molte parti che recitò in quei frangenti della storia. Li elenca Falzone: «Organizzatore di complotti antifascisti, autore di studi sul fascismo, professore universitario di dottrina del fascismo, sabotatore legato ai servizi inglesi, fondatore e comandante dell'esercito per l'indipendenza della Sicilia». Bene non lo conobbe nessuno «ma tutti subirono nei suoi riguardi un'attrazione arcana».
Nel libro scorrono personaggi come Mario Turri, complottardo della Repubblica di San Marino, Tolù, partigiano alla guida della brigata “Matteotti” e fondatore a Firenze del Partito dei lavoratori, Jean Sorédan, autore della biografia del “Pensatore contemporaneo Antonio Canepa”, Guido Colozza, segretario di Canepa e fonte di Sorédan, Federico Vitanza Scotti traduttore della biografia in italiano. Alle fine, però, è sempre lui, Antonio Canepa: uno, nessuno e centomila.
Una dannazione per Falzone che - come le inafferrabili figure che popolano la memoria e l'immaginario di un autore di culto come Patrick Modiano - cerca di modellare una sintesi. Misterioso Capena, chi sei stato veramente?. «Preferivi la luce o l'ombra? Eri poco o molto siciliano? Eri fascista o antifascista? O eri l'uno e l'altro insieme? Eri più anarchico che comunista? Eri un rude guerrigliero o un soldato politico? E cosa è successo quel 17 giugno del 1945? Ti hanno sparato i carabinieri o sei stato “mitragliato” da cecchini appostati dietro un cespuglio? È stato un regolamento di conti o un delitto di Stato?».
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