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«Risse, droga, odio: Palermo deturpata dalla perdita del senso civico», denuncia l'arcivescovo Lorefice nell'omelia al Santuario

«Cosa ci lascia come eredità il martirio di Rosalia? Prendersi cura di sé. Oggi viviamo nell’epoca dell’esasperazione della cura “dell’uomo esteriore” e abbiamo dimenticato la cura dell’“uomo nascosto nel cuore”»

«Il martirio anacoretico di Rosalia è stato il fulcro decisivo di questo Anno Giubilare». Lo ha detto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice nell’omelia della messa celebrata, questa sera (4 settembre), nella spianata del Santuario di Monte Pellegrino, per la conclusione del 400° anniversario del rinvenimento delle spoglie di Santa Rosalia, nel giorno a lei dedicato come Patrona della città. Alla liturgia era presenta anche il sindaco di Palermo Roberto Lagalla.

«Se è vero dunque che il martirio è “il segno più alto della carità verso Dio e verso gli uomini”, allora anche quello di Rosalia è martirio, martirio anacoretico: dono di sé a Dio nella solitudine dell’eremo», ha affermato il presule. Per Lorefice «quella di Rosalia de' Sinibaldi non è stata una fuga egoistica e sterile dalla vita, dagli altri, dalle responsabilità umane, dalla città, in dispregio delle cose terrene». E ha spiegato: «Cosa ci lascia come eredità il Giubileo Rosaliano, il martirio di Rosalia - ha detto Lorefice -? Prendersi cura di sé. Oggi viviamo nell’epoca dell’esasperazione della cura “dell’uomo esteriore” e abbiamo dimenticato la cura dell’“uomo nascosto nel cuore”».

«Le vite dei nostri figli illuse, piegate e spezzate dalle nuove droghe - ha aggiunto -; la diffusione di relazioni violente e aggressive tra le nuove generazioni, specialmente nei luoghi di ritrovo, di linguaggi avvelenati dalla menzogna e dall’odio. Sopravanza una cultura del sopruso e della morte. La città, deturpata dalla perdita del senso civico, è incapace di trovare soluzioni e di far fronte all’emergenza rifiuti acuita a motivo di nefasti interessi speculativi e di equilibri politici. Tormentata da vecchie e nuove povertà, per il venir meno delle condizioni essenziali di una vita dignitosa (una terra, una casa, un lavoro), produce ‘scarti umanì, specie nelle periferie urbane ed esistenziali».

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