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Ex mafioso e pentito, Gaspare Mutolo all'Aquila con i suoi quadri: in carcere ho trovato rifugio nella pittura

Il racconto della sua storia anche attraverso un libro: «Non mi sento di aver tradito la mafia per paura, ho ripudiato la violenza, l’assenza di moralità nel colpire indistintamente anche donne e bambini»

Gaspare Mutulo

«In carcere, ho trovato nella pittura un rifugio, un modo per esprimere le mie emozioni e guardare sul mio passato da un’altra prospettiva».
Ex esponente della mafia, collaboratore di giustizia e ora pittore conosciuto a livello nazionale, Gaspare Mutolo è atteso domani - sabato 2 marzo - all’Aquila per un racconto a tutto tondo della sua vita attraverso l’arte.

La libreria Maccarrone in via Francesco Savini accoglierà a partire dalle 10 un’esposizione di alcune delle sue opere, mentre alle 18, nello stesso spazio sarà presentato il libro «Ci sentivamo cavalli di razza». Un volume in cui Mutolo offre un ritratto di sé a Maria Santamaria.
Entrambi saranno protagonisti dell’incontro moderato dal giornalista Rai Andrea Fusco. Un passato segnato dall’amicizia con Totò Riina, un presente illuminato dall’arte e dalla redenzione. Dall’affiliazione a Cosa Nostra al suo distacco coraggioso e alla sua testimonianza contro il crimine organizzato,
Mutolo ha intrapreso un percorso che non si stanca di condividere.

«Non mi sottraggo mai a occasioni di questo tipo - ha detto alla vigilia dell’incontro - e per me è importante rispondere a tutti i quesiti che mi vengono posti».
Ottantaquattro anni compiuti, iniziò a lavorare come meccanico prima di dedicarsi alla malavita a ridosso degli anni Sessanta. Chi erano dunque questi cavalli di razza? «Vedevamo queste persone - ricorda - inserite in un’organizzazione che faceva la differenza tra città e paesi come Corleone. Li percepivamo come ben inseriti in società. Erano loro, per noi, i cavalli di razza in un tempo in cui neanche si parlava di mafia: faccio un esempio su tutti, il cardinale Ernesto Ruffini le cui parole avevano in qualche modo messo in dubbio l’esistenza di un’organizzazione criminale. Se ne parlò più avanti dietro l’esempio di Giovanni Paolo II nel famoso discorso alla Valle dei Templi».

Con gli anni le cose sono cambiate. «Non mi sento di aver tradito la mafia per paura - prosegue Mutolo - ho ripudiato la violenza, l’assenza di moralità nel colpire indistintamente anche donne e bambini. Mi sono allontanato da figure come Provenzano o Messina Denaro. Di quest’ultimo, a cui neanche attribuisco un ruolo di capomafia, conoscevo bene il padre».

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