La sua pagina Facebook ha 18.000 follower. Il profilo Tik Tok ha raggiunto 435.000 like. Il tutorial su come farsi il segno della croce, di appena 10 secondi, ha raggiunto le 754.000 visualizzazioni. Seguitissimo anche il video in cui spiega quando, da giovane agnostico, ricevette la chiamata del Signore. «Ma non chiamatemi influencer», scherza Don Dario Chimenti, 36 anni, da più di 4 anni alla guida della parrocchia di Sant’Alberto Magno, a Uditore.
Lui è tra i 60 sacerdoti e laici italiani che dall’anno scorso partecipano al progetto «La Chiesa ti ascolta», avviato dal Dicastero della Comunicazione del Vaticano. «I giovani ormai disertano le parrocchie. Dobbiamo essere noi parroci a cercarli nel loro mondo», è la sua mission. È la «Chiesa in uscita» di Papa Francesco a sottolineare l’importanza dell’uso delle tecnologie digitali per comunicare con la generazione Z.
Oggi nei suoi profili social don Dario racconta le attività svolte all’interno della parrocchia. In un primo momento tra i suoi fedeli c’era chi lo guardava con disappunto. «Ma poi - rivela - hanno capito, e adesso i miei parrocchiani sono molto coinvolti nei video. L’utilizzo dei social diventa un modo anche per spiegare il Vangelo, per divulgare il messaggio di Dio».
Se anche tra i religiosi alcuni mostrano ancora delle perplessità, è proprio dall’ambiente digitale che piovono le critiche più pesanti. I social sono pieni di haters. «Mi dipingono come un prete dissacrante, che ha rinunciato alla sua vocazione. Cercano di buttarti giù. Ma io non demordo, l’importante è rimanere saldi nella fede».
Negli ultimi mesi don Dario ha però dovuto fare i conti con la malattia della mamma, che lo ha costretto a rimanere parecchie ore della giornata a casa, riducendo il tempo dedicato ai giovani. «È stato allora che mi è venuta l’idea. Non è stato forse Don Bosco a creare l’oratorio per impartire insegnamenti attraverso il gioco? I ragazzi, mi sono detto, oggi trascorrono ore ed ore sui videogiochi. E quindi? Mi sono “semplicemente” messo a giocare con loro. È stata una bella scoperta. Giocando, i ragazzi si aprono. Si incuriosiscono nel vedere un prete giocare a Fortnite. E mi pongono tante domande, a partire da come sia nata la mia vocazione. Il videogioco, da mero momento di svago, mi dà l’opportunità per trasmettere contenuti, per evangelizzare».
Ma il rischio di essere fagocitati dai social è dietro l’angolo. «Non si deve cadere nella logica pericolosa della pubblicazione ad ogni costo, nella ricerca del post virale. L’utilizzo dei social può creare dipendenza. Io sono chiamato alla vita sacerdotale con la mia personalità, con i doni che il Signore mi ha dato. Quel Gesù che, in fondo, era un grande comunicatore».
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