Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Padre Puglisi 63 anni fa diventò prete, Palermo lo ricorda: «Ha cambiato la mentalità della gente»

La celebrazione eucaristica è stata officiata da monsignore Salvatore Di Cristina, compagno di studi del beato ucciso dai mafiosi

«Non è mai stato all’ombra del campanile ma sempre e solo tra la gente». Giornata di ricordi nella chiesa della Madonna dei Rimedi in piazza Indipendenza a Palermo, dove esattamente 63 anni fa padre Pino Puglisi riceveva l’ordinazione presbiteriale. A celebrare la messa in ricordo del prete che combatteva la mafia, il suo compagno di studi e di formazione al seminario arcivescovile del capoluogo siciliano, Salvatore Di Cristina, Arcivescovo emerito di Monreale e negli anni anche amico intimo di Puglisi. Che, a 30 anni dall’omicidio mafioso e a 10 dalla beatificazione, restituisce commosso il ricordo dell’amico e del collega. «La grazia di Dio ha voluto che condividessimo tante cose delle nostre vite, prima da seminaristi poi nell’insegnamento, sempre in seminario. Per un periodo c’è stato anche come un avvicendamento, dove stavo io subentrava poi lui e così si manteneva sia un’amicizia di intese, affetti e scambi di opinioni che viaggiava parallelamente al lavoro».

Tutto fino al penultimo momento, così lo definisce Di Cristina, quando per ragioni di lavoro e studio le loro strade si separano, proprio quando padre Puglisi inizia la sua missione a Brancaccio: «Io ero impegnato nella facoltà di teologia, e ci siamo un po' distanziati. Si provava a recuperare, però...». Gli occhi si fanno più lucidi, e prosegue nel suo racconto: «Quando morì rimasi sbalordito. Non sapevo dei suoi problemi, anche perché ad un certo punto lui cominciò a non parlare più delle sue vicende personali, specialmente con gli amici». L’immagine impressa nella mente dell’arcivescovo è quella di un uomo umile, semplice, che in realtà era un gigante, «scoperto proprio per il suo martirio - sottolinea Di Cristina -, il suo è stato un autentico martirio. Ciò che più ricordo di lui, impresso nella mia memoria, è la sua capacità di far sentire importante il suo interlocutore - conclude -. Lo faceva con tutti, anche con me - ricorda ridendo - e ci sono stati momenti in cui mi faceva sentire più importante; mi illudevo».

La chiesa è gremita e commossa. Chi entra, prima di prendere posto tra le panche in legno, fa una tappa nel piccolo angolo dedicato proprio a padre Puglisi: ci sono le foto di quando in quel 2 luglio del 1963 Puglisi diventava prete, ed una targa che lo ricorda. La gente si avvicina, china il capo e dice una preghiera, un piccolo ringraziamento per ciò che è stato in grado di fare, di perdersi in mezzo alla gente. «Una gran fatica, per diventare il quartiere e poi cambiarlo - spiega Gregorio Porcaro, vice parroco di padre Pino Puglisi a Brancaccio -. Questo essere povero con i poveri, povero dei poveri ha cambiato la mentalità della gente». Gregorio conosce padre Puglisi fin da bambino, da quando avevano otto anni. Una grande amicizia, che lo ha portato a seguire il parroco nella sua missione più difficile, dando un ricordo, una fotografia di quei giorni: «All’inizio era un prete strano, che viveva per strada, che si rapportava con la gente e imparava il linguaggio della gente - spiega - e in poco tempo tutti si sono fidati di questo prete piccolo, semplice ma dalla forza liberante». Come successo a Di Cristina, Porcaro parla di Puglisi mantenendo ben fisso in volto un sorriso, probabilmente trasmesso dallo stesso Puglisi. Caratteristica mantenuta anche difronte alla morte: «Ti faceva stare bene e faceva paura a chi si sentiva potente, ai mafiosi - sottolinea Gregorio - e che non lo ha lasciato neanche nel momento di morire». E che forse, veniva dalla sua grande «autoironia, si prendeva sempre in giro - racconta ancora Porcaro -, amava prendersi in giro e ci aiutava ad aggiustare noi stessi, i nostri difetti ed egoismi. Ancora oggi per me è un esempio».

Caricamento commenti

Commenta la notizia