Quale sarà mai la Palermo vera? La città è un insieme complesso e contraddittorio, con i suoi lati bui e quelli che brillano al sole. E l'anno passato da Capitale italiana della cultura, le ha fatto bene? È rimasta un'eredità fattiva o rimpiangiamo soltanto i fasti passati? Sovrintendenti e direttori di teatro vs storico: vincono i primi, e con loro, una Palermo che ha rialzato la testa, che ora porta il teatro nei suoi quartieri periferici e dimenticati. E che si spazzola affettuosa la polvere di dosso.
Se n'è discusso ieri, nel corso del secondo (serrato) incontro che il Giornale di Sicilia ha organizzato in seno a Una Marina di Libri all'Orto Botanico. Stavolta l'attenzione è stata portata sull'eredità rimasta a Palermo dopo l'anno vissuto da Capitale italiana della cultura. E anche in questo caso, si è deciso di spostare il perno: dalla politica a chi invece la cultura la deve proporre, inventare e vivere ogni giorno.
Gli ospiti, introdotti e moderati da Salvatore Rizzo, erano Pamela Villoresi, che è arrivata sulla poltrona più alta dello Stabile e ha raccolto il volante di un teatro che è stato tra i protagonisti dell'anno terribile in maniera positiva; Francesco Giambrone, che invece l'anno lo ha vissuto tutto, gioie e dolori; e Gaetano Basile, storico e conoscitore di vicoli e piazze; con il confronto diretto del vicedirettore responsabile del Giornale di Sicilia, Marco Romano. Dunque Palermo.
Dunque eredità. «Sono rimaste tante cose - ha esordito Francesco Giambrone -. Ma dobbiamo partire dalla candidatura (mancata, visto che ha vinto Matera) di capitale europea: ha avuto senso perché la città poi ha raccolto una visione fondata su valori forti, riconoscibili e riconosciuti. A cominciare dall'accoglienza. Poi è rimasta una modalità di best practice, di condivisione dei progetti, di istituzioni che si parlano, di steccati abbattuti». Best practice raccolta da Pamela Villoresi. «Quando recitavo qui, da attrice, avevo pensato di comprare casa. E non ci sono riuscita anche se era una città affranta che svendeva i suoi palazzi. C'erano quartieri dove non si metteva piede: oggi invece la sensazione è che qui ha vinto lo Stato, per le strade circola energia. Vedo i puntelli dei palazzi, ma servono per i restauri. Le case si aprono quando c'è la pace per strade. Io sono un capitano eletto dalla ciurma, mi hanno voluto i lavoratori del Biondo, nel resto d'Italia sarebbe inimmaginabile. Il teatro ha dei doveri e io voglio le sinergie».
La voce contraria è quella di Gaetano Basile. «La mia generazione è cresciuta a pane e teatro: fino al '56 Palermo aveva otto teatri e 59 cinema, poi l'interesse è scemato: quando cade la cultura, muoiono teatri e cinema. Palermo ha una bellezza inutile, estetizzante, va benissimo per i selfie souvenir: il Cassaro ha aperto i ristoranti e ha perso le librerie. Non vogliamo turisti e non accettiamo viaggiatori. Cosa resta di Palermo Capitale? Una vergogna. Non ci sono più i palermitani, si sono spopolati i rioni popolari, e sono diventati zone ghetto dove non andiamo. Quello che io cerco di non vedere, lo guardano i turisti». Disillusione Basile.
«Stiamo parlando tutti della stessa città - si chiede il vicedirettore Marco Romano - Palermo bella e dannata insieme?».
«Io mi sono stancato di sentir rimpiangere Palermo felicissima - risponde Giambrone - il Teatro Massimo allora era chiuso e oggi è aperto. E tutti noi abbiamo responsabilità su quegli anni. Oggi sarà pieno di criticità, di un'economia del turismo che è ancora di pessimo livello, ma la Palermo di oggi accoglie, i migranti come i turisti. Il Teatro Massimo ha portato l'opera lirica allo Zen e a Danisinni che hanno costruito l'opera con noi, facendo nascere un coro». E la politica? Che ruolo ha la politica nei teatri? È un coro unanime. «Non è un problema di intrusioni, che non ci sono, ma di mancata certezza di contributi. Ci dà un indirizzo: ma la politica cattiva è un'altra cosa», dicono Giambrone e la Villoresi. L'incontro, in diretta su Tgs, si è chiuso con un momento di intrattenimento condotto da Salvo La Rosa, con Lollo Franco.
Stasera alle 19,30 si tornerà all'Orto per parlare de «La crisi economica della mafia e i nuovi canali di finanziamento criminali». Partendo dall'inchiesta in cinque puntate che il capocronista Vincenzo Marannano ha firmato sulle pagine del quotidiano, si discuterà con il questore Renato Cortese, il comandante provinciale dei carabinieri Antonio Di Stasio, e della guardia di finanza, Giancarlo Trotta. Moderano Marco Romano e Vincenzo Marannano.
Si chiude con Salvo La Rosa che avvierà un «affettuoso scontro d'amorosi sensi» con Sergio Vespertino.
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