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Lo «scienziato» dei... cannoli: «Il mio segreto? la ricotta siciliana»

Giacomo D’Alessandro

PALERMO. Meglio una pecora (di San Biagio Platani) che cento mucche (degli Appalachi). Perché il segreto del siciliano «scienziato del cannolo» (definizione data dal giornalista americano Ralph Gardner jr.) è nella ricotta che dev’essere rigorosamente di pecora agrigentina. Giacomo D’Alessandro, 52 anni, palermitano di nascita («ma uomo di mondo per necessità»), dopo aver lavorato per venticinque anni nel turismo (viaggiando dall’Australia al Sud Africa), ha deciso di reinventarsi «cominciando da me, a New York, il posto più difficile per fare business, investendo solo sulle mie passioni: dolci e gelati». Oggi, è uno dei pasticceri più noti degli Stati Uniti.

Com’è riuscito a far interessare il Wall street journal ai suoi dolci?
«Il successo spesso va a braccetto con la fortuna. Un giorno di marzo 2014, quando ancora avevo il negozio a Little Italy (oggi ha una cucina operativa non aperta al pubblico, al sesto piano tra la 34 e la 35esima a Brooklyn), mi chiama l’Ice di New York (l’Istitu - to del commercio estero) per i dolci d’un pranzo ufficiale chiedendomi d’essere presente per spiegare i prodotti. Subito e tantissimi furono i complimenti ma non ci feci caso perché pensai che, magari, sino a quel giorno, tutti avevano visto e mangiato solo fake cannoli (cioè falsi e fatti male)».

E poi?
«Il giorno dopo mi chiama per un’intervista Gardner jr. che era a quel pranzo (ma io non lo sapevo)».

Qual è stata la sua reazione dopo aver letto l’articolo?
«Minchia sul Wall Street sono! L’ho detto così, in siculo, me lo ricordo ancora. Il mio nome scritto sulla Bibbia della finanza mondiale per i miei cannoli di Sicilia».

Gardner l’ha definita «lo scienziato dei cannoli» nel 2014, come si spiega che la notizia ha impiegato tanto a propagarsi?
«A varcare l’Oceano ci vuole tempo…».

Partire o restare: cos’è più difficile?
«Sicuramente partire. Lasciare i propri affetti e abitudini ma soprattutto avere la forza e il coraggio di ricominciare a quarantasette anni non è stata una passeggiata di salute…».

Il destino dei siciliani è solo quello di emigrare?
«Ci sono grandi siciliani che hanno fatto grandi cose in Sicilia e in Italia. Però siamo un popolo errante ed esprimiamo il meglio di noi all’estero vista la propensione all’adattamento».

Crede d’aver più dato o ricevuto dalla Sicilia?
«È la mia terra: Sicilian inside, siciliano dentro. E lo si rimane per sempre. Ecco perché vorrei esportare il “made in Sicily” in ogni angolo di mondo».

In cucina meglio la tecnica o creatività? L’innovazione o la tradizione?
«Direi che ci vuole un “pizzico di follia”: la tecnica s’impara, le novità si creano. E la creazione avviene nei momenti in cui quel pizzico di follia ti avvolge e magari nasce il miglior gelato che hai mai fatto. L’importante però è mantenere la qualità e la coerenza nel tempo… sembra facile ma non lo è».

Giacomo D’Alessandro, pastry chef o chef?
«Pastry perché faccio pasticceria. Ma so cucinare anche ottimi piatti di pasta».

Perché ha voluto rinnovare giusto il cannolo?
«È stata la scommessa: portare il vero sapore di Sicilia negli Usa con uno dei prodotti dolciari più copiati. Il tiramisù è il dolce italiano più diffuso mentre il cannolo (qui chiamato cannoli’s…) è secondo ma è il più copiato. Ce ne sono di tutti i tipi. Ma a mancare è la vera ricotta di pecora siciliana. E i milioni di siciliani d’America, di seconda o terza generazione vogliono ritrovare i sapori del proprio territorio».

Una volta al mese, fa arrivare la ricotta di pecora da San Biagio Platani, un paesino dell’agrigentino. Non essendo freschissima la bontà ha del miracoloso…
«I miracoli non c’entrano. L’impasto dei cannoli con ricotta di pecora viene preparato in Sicilia quindi, con un processo “fast frozen” (“abbattitura e veloce congelamento” con azoto liquido) portata dallo stato morbido a quello solido in meno di sessanta secondi. Quindi trasportata a -18° in container a temperatura controllata negli Usa».

Quindi…
«Il processo di decongelamento è fondamentale per mantenere il prodotto come fosse stato fatto mezz’ora prima».

Com’è arrivato a scegliere proprio quella ricotta? Ha girato tutta l’Isola?
«Non conosco la ricotta di tutta la Sicilia ma, sin da piccolo, quando andavo in campagna ad Agrigento, ho mangiato la ricotta di San Biagio: è unica. Ma sono le persone e i pastori del posto a fare la differenza».

Dolci a parte, c’è qualcosa della cucina statunitense per cui fa follie?
«Sono carnivoro e qui la carne la cucinano bene. Il resto? Lasciamo perdere».

L’angolo di New York che più le piace?
«A Natale, lo sfarzo del Rockfeller center e del suo albero. A primavera e in estate, passeggiare nel Village».

E quello di Palermo che ripensa più spesso? «Mondello e il suo mare a maggio».

Ogni quanto s’arricampa a casa?
«Cerco di tornare quando posso. Ma non è semplice lasciare l’organizzazione del lavoro. Diciamo che, almeno una volta l’anno, torno a Palermo per farmi coccolare dai miei genitori».

Ha mai nostalgia di qui?
«Professionalmente parlando, no. Affettivamente, molta».

Cosa vede se guarda indietro?
«Indietro non guardo mai, il passato non si può cambiare ma si può imparare dagli errori per non ripeterli».

E nel suo futuro?
«Con altri tre partner, aprirò il mio nuovo locale a Soho, nel West Village, a marzo 2018: venti gusti di gelati fatti qui come in Sicilia, una rivisitazione della classica brioche e l’immancabile caffetteria. E poi c’è la nuova iniziativa a cui tengo molto: un Kiosk di gelati al Pier 16 a Seaport, a Manhattan, costruito riadattando una Lapa, la classica tre ruote Ape Piaggio, un oggetto di culto forse il simbolo per eccellenza della nostra cultura: l’equivalente del chopper nel film “Easy rider” per gli americani. Vorrei che il mio futuro fosse costellato di chioschi siciliani...».

Qual è il bello del suo lavoro?
«La soddisfazione di vedere persone incredule che, assaggiando i miei prodotti, riescono ad articolare un unico suono: mmmmmm…».

Che dolce regalerebbe al Presidente Trump e alla first lady?
«Una cassata, what else?».

E quello da fare per la notte del 24 dicembre?
«Un dolce Nord-Sud. Un panettone all’amarena tagliato a forma di stella con una spruzzata di zucchero a velo vanigliato, farcito al gelato di pistacchio di Bronte e cioccolato di Modica come base. Passito di Pantelleria o Zibibbo delle Eolie per completare l’opera. L’ho fatto lo scorso anno a New York e me lo chiedono anche ad agosto. Vallo a spiegare agli americani che il panettone è solo natalizio…».

Un cannolo è per sempre?
«Il primo amore non si scorda mai ma niente è per sempre…».

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