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Super... gasata e piena di energia: «Dal freddo dell’Aja distribuisco calore»

Giocanna Fiandaca

P alermitana (di nascita), siciliana (per cultura) ma soprattutto europea perché si sente «parte di una comunità tecnico-scientifica» transnazionale. Giovanna Fiandaca, classe 1981, ingegnere chimico (guai a chiamarla «ingegnera») a ventiquattro anni, lascia la sua città dopo la laurea (tesi sulla ricerca di materiali per la realizzazione di display flessibili): da allora, il lavoro l’ha portata fuori dalla Sicilia, in giro per il mondo. Prima di laurearsi già uno stage in Procter&Gamble, a Lucca, nella cartiera che produce famosi fazzolettini («una piccola parentesi tornata utile quando ho iniziato a mandare il curriculum in giro da neo-laureata») poi ottiene una borsa di studio per un dottorato di ricerca all’University College di Londra (UCL). Oggi, invece, a trentasei anni, Giovanna Fiandaca vive a l’Aja dove lavora per un’importante compagnia multinazionale nel settore energetico, è moglie di Jeroen, mamma del piccolo Julian e di Seeger («il bimbo di dieci anni di mio marito»).

Si sente un’emigrante di lusso o un cervello in fuga?
«Mi sento europea prima di tutto: Italia, Inghilterra, Olanda, e quando i bimbi saranno più grandi chissà…ci potremmo spostare di nuovo. I “cervelli”è bene che vadano in giro per il mondo: è un movimento sano. Solo che dalla Sicilia e dall’Italia, in genere, il movimento è possibile prevalentemente in uscita. E forse, più che una fuga, si diventa “cervelli” in esilio».

Di cosa si occupava durante il dottorato inglese?
«Il progetto faceva parte delle attività di ricerca del centro per CO2technology della UCL e il Center for Process Systems Engineering, una collaborazione tra UCL e Imperial College. L’obiettivo del dottorato mirava alla ottimizzazione di un processo per la cattura dell’anidride carbonica prodotta da grandi impianti di combustione. La cattura e sequestro dell’anidride carbonica è una delle possibili strategie per mitigare l’effetto serra».

E oggi, all’Aja?
«Come ingegnere lavoro nel campo del Liquified Natural Gas (LNG). Sono impegnata nella progettazione di impianti di raffreddamento di gas naturale per trasformarlo in liquido allo scopo di ridurne il volume e renderne più agevole stoccaggio e trasporto».

Con quali Paesi lavorate?
«Con quelli che hanno bisogno di energia ma che si trovano lontano dai giacimenti di gas e quelli dove i gasdotti non sono convenienti anche per il costo. Ci si misura con le sfide cruciali del nostro tempo: fornire energia sostenibile per una popolazione mondiale sempre crescente. Un lavoro complesso anche a livello organizzativo tra partner distanti tra loro e meeting alle quattro del mattino con il Giappone e alle dieci di sera con il Canada magari nella stessa giornata…».

È un lavoro per donne?
«Non ancora ma dovrebbe. Il tocco e l’istinto femminile aiuta a creare un clima di cooperazione perché sappiamo guardare al quadro generale prima di zoomare sui dettagli tecnici. Resistendo alla tentazione di comportarci come i colleghi uomini».

Sono più le differenze o le similitudini nel modo di lavorare tra siciliani e olandesi?
«Qui si lavora 8-9 ore al giorno fino alle 17 con una pausa pranzo di trenta minuti. Poi tutti a casa per stare con la famiglia e preparare la cena dei bimbi alle 18 o fare sport: tutti vogliono finire in tempo e corrono come treni. Gli straordinari sono generalmente scoraggiati (“non sei abbastanza efficiente durante il giorno?”) tranne, ovviamente, in situazioni straordinarie. Invece in Italia gli straordinari sono una pratica abusata. Ma in Olanda c’è anche un modo informale di vivere la gerarchia».

Ovvero?
«Esiste solo perché riflette responsabilità ed esperienza. Ma qui tutti ci chiamiamo per nome e anche i più giovani sono invitati a dare la propria opinione. Un paese che vuol fare business sul serio non può perdere l’op - portunità di ascoltare e dare voce alle idee migliori».

Riuscirebbe mai ad integrarsi in schemi e orari siciliani?
«Non credo e forse non ci sarei mai riuscita».

Cos’ha pensato il giorno del primo ‘distacco’?
«Mi sentivo emozionata per l’avventura che stavo per intraprendere ma orgogliosa d’essermela guadagnata. Anche se i dubbi c’erano ed erano tanti: sarò all’altezza? Me la caverò con l’inglese?».

Sapeva che era un addio o pensava fosse un arrivederci?
«Sono partita per un dottorato di ricerca di almeno tre anni senza chiedermi cosa sarebbe accaduto dopo. Però chi parte sa che è difficile rientrare…».

E cosa fa, invece, quando torna?
«Per noi non è estate senza il mare siciliano.Torniamo almeno due volte l’anno. Quando atterro a Trapani con Ryanair da Eindhoven, facciamo sempre una puntata a Dattilo per i leggendari cannoli. Vai a sapere se la dipendenza dalla crema di ricotta è stato uno dei motivi per cui ho dovuto lasciare la Sicilia…».

Il piatto dell’Aja per cui fa follie?
«Follie forse no, ma ho grande rispetto per il loro street food: aringa marinata con le cipolle crude, kibbeling-il merluzzo fritto a tocchetti in pastella, la kroket-ottima crocché alla carne speziatissima e la gehaktbal-una polpettona da mangiare con la senape: un successo con tutti i miei visitatori siculi».

Lei cucina siciliano?
«Quello che preparo più spesso è la pasta al forno. Ma per le feste dei bimbi faccio anche arancinette e sfincione. Una volta mia madre è venuta in missione speciale per la fare la caponata: un successo».

Mai avuto nostalgia?
«Non avverto senso di appartenenza pieno con la terra in cui vivo: mi manca quella sensazione che prova chi cresce i figli nella terra in cui lui stesso è nato. Diversi sono i miei riferimenti culturali, non conosco i nomi dei politici passati, non ho visto la stessa tv da ragazzina o ascoltato i cantautori dei miei coetanei olandesi. Ma sto cercando di recuperare…E comunque i romanzi di Camilleri sono un ottimo antidoto contro la nostalgia».

Da laggiù come appare la Sicilia? Si tiene informata sullo stato delle cose?
«I primi anni sì ma, col tempo, è diventato più difficile così, per capirne di più, parlo con i miei. Noto che l’emorragia di giovani che vanno via è inarrestabile: la città ne soffre, è sporca e spesso sembra annaspare in cerca di ossigeno. È una fortuna che l’Unesco abbia dichiarato l’itinerario arabo-normanno patrimonio dell’umanità così come le cattedrali di Monreale e Cefalù: segnali incoraggianti e positivi. Come il centro città pedonale che sprizza energia».

L’angolo di Palermo che più le piace?
«Il mio cuore è a Villa Trabia: i balconi della casa dei miei genitori guardano sulla villa e, da piccola, il mio adorato nonno Vittorio mi portava a giocare tra le maestose radici delle magnolie».

Se la macchina del tempo fosse realtà tornerebbe indietro o in avanti di quindici anni?
«Adoro il mio presente, lascio la macchina a chi ne ha più bisogno. Ma, dovendo scegliere, andrei in avanti: tornando indietro rischierei di non ritrovarmi dove sono adesso. Al cinema ho visto "Ritorno al futuro" e ho imparato la lezione».

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