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Nuova tendenza del bere: le birre artigianali sempre più richieste, ed è boom anche in Sicilia

Una serata con il maestro di degustazione che puntualizza: «Questo è un prodotto particolare, deve piacere a chi lo fa»

PALERMO. Sotto il saio, tutto. Anzi tutta. Tutta la birra «vera», tutta la birra che fu e che torna nel gusto e, soprattutto, nella produzione. Anche in Sicilia, dove si stanno facendo sotto qualificate start-up birraie. In cascina, per ora, una fetta pari al 2% del mercato nazionale del settore. Fai da te ma fatte bene, a regola d'arte. Il saio-simbolo è quello dei monaci trappisti belgi del basso Medio Evo, maestri birrai insuperati che - sorride Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, maestro di degustazione nella serata organizzata ieri alla Locanda del Gusto dell'hotel Quinto Canto di Palermo - «della loro birra bevevano dai 6 agli 8 litri al giorno. Ed era la ”secunda”, quella di qualità inferiore destinata alla cambusa dei monasteri, mentre la ”prima melior” veniva venduta». La manifestazione di ieri porta la firma, del Kuaska Instituut, del quale è rappresentante in Sicilia Mauro Ricci, che non perde tempo a farsi alfiere dei nuovi birrifici artigianali di punta in Sicilia. Due, infatti, delle nove etichette in vernissage ieri, sono attaccate in Sicilia, segno di un fenomeno imprenditoriale che, dopo aver emesso i primo vagiti alla fine degli anni '90, aveva conosciuto i dimenticatoio dei grandi numeri: «Vogliamo dare enfasi alle birre artigianali che rappresentano anche una bella occasione per quanti vogliono cimentarsi in un settore che, nonostante la crisi, risulta in controtendenza», afferma infatti Ricci.

Di queste birre, Dabove è degustatore principe in Italia e, fra l'altro, gastronomo giurato del Campionato mondiale di pesto al mortaio di Genova. Rappresenta la birra di casa nostra nei principali consessi del globo: ha pubblicato, nel 2005, per Gribaudo Editore il libro «Le Birre» e, per l'inglese Dorling & Kindersley, nel 2007, il capitolo relativo alla birra italiana del libro di Michael Jackson «Beer (Eyewitness Companions)» e, nel 2008, analogo contributo nel «The Beer Book» di Tim Hampson. È lui, considerato il massimo interprete e storico italiano della birra belga, la star, in una costellazione che ieri ha visto sfilare nove etichette. Con l'ennese «Nicosia» e la messinese «Sinagra» a rimpiazzare nell'immaginario delle mete dei cultori, villaggi scozzesi, sagre tedesche e monasteri belgi: a Nicosia il birrificio «24 Baroni» produce la sua «Bianca», una blanche belga «ad alta fermentazione prodotta con frumento non maltato proveniente dalla tradizione birraia belga. Leggera (6,3%), chiara, speziata, con fermentazione naturale e utilizzo di malto d'orzo, frumento e avena. Regno Unito e Stati Uniti, invece, nel cuore di Elio, Piero e Carmelo, giovani di Sinagra che producono, sotto il sicilianissimo nome «Polifemo», una birra al 6,5% di alcol ispirata alle Indian Pale inglesi ma caratterizzata - spiegano - dall'abbondante luppolatura americana. I sentori? Caramello, frutta secca e amaro del luppolo. All'olfatto, anche agrumi».

«Beverina», facile da bere, direbbe un neofita. Sussulti e rinascita di un movimento, quello siciliano, che già negli anni '90 aveva presentato, da basi praticamente amatoriali, biglietti da visita lusinghieri? Mai dimenticata, per esempio, da chi all'epoca perlustrava pub, la bagherese «Wild Spirit», «curata in prima persona - ricorda Dabove - dal giovane, bravissimo Alessandro Picciotto».

Kuaska-Dabove versa, valuta. Illustra quello che nei sogni, ma pure in realistiche analisi di mercato, potrebbe presto affiancare «fratello» vino o sua eccellenza l'olio come asset di qualità del made in Italy agroalimentare: «Il movimento dei birrai artigiani - spiega - ha fatto i primi seri passi intorno al 1996. Dai 6-7 pionieri del Nord Italia, ora siamo 850 dei quali oltre 600 attivi sul mercato nazionale». La domanda viene al primo sorso: esiste una definizione merceologica o un'indicazione di presidio gastronomico che tuteli e metta in vetrina? «Non ancora - risponde Dabove - speriamo che la Unionbirrai risponda alle nostre sollecitazioni. Perché dal punto di vista gustativo e, mi lasci dire, filosofico, è un'altra cosa. Al di là dei tipi prodotti, che seguono la vastissima varietà di tradizioni nazionali e procedimenti, la nostra birra non è né pastorizzata né filtrata. Cruda. E la mancanza di pastorizzazione non ha nulla a che vedere con quella proclamata dalle, peraltro poche, birre industriali che la vantano. Insomma, puoi avere una stout, una blanche, una lager fatta da te o da una multinazionale. Le birre industriali si assomigliano tutte, quelle artigianali sono il prolungamento della personalità, e dei capricci, del birraio. La birra deve piacere a chi la fa. Senta: la birra non esiste, esistono ”le” birre».

Quanto ai «rapporti diplomatici» con i colleghi sommelier del vino, Dabove sorride: «Noi degustatori di serie B? Inizialmente da parte loro c'era una certa diffidenza, oggi non più. Anzi lavoriamo a braccetto, condividendo anche terminologia e tecniche. Di più: gli enologi hanno iniziato ad apprezzarci perché la gamma di fragranze e aromi delle birre è più vasta, dalla tostatura dell'orzo alla marinatura del malto. L'altro boom in corso - aggiunge Kuaska - è il mix fra le due arti, aggiungendo alla birra mosto di vino o acini d'uva». Sulla birra siciliana: «Sono felice della nuova vitalità birraia della Sicilia. Oltre alle due etichette di Nicosia e Sinagra, da seguire due splendide realtà del Ragusano: «Rocca dei Conti» di Modica e «Paul Bricius» di Vittoria».

 

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