PALERMO. Sei giorni. Anni di attesa, altri da attendere, ma alla fine è bastata meno di una settimana, per la prima coppia palermitana che si è detta addio con il «nuovo» divorzio: le norme sono entrate in vigore martedì 11 e ieri hanno trovato la prima pratica applicazione. Hanno fatto tutto gli avvocati, che hanno condotto la negoziazione: è bastato così che la Procura del capoluogo desse un nulla osta, per sciogliere il matrimonio tra un professionista e un’impiegata, senza figli, separati dal 2007. Sono i primi, a Palermo e forse nell’Isola, che non hanno avuto bisogno di andare davanti a un giudice, per concludere la loro esperienza matrimoniale, durata meno di dieci anni. Dirsi addio senza un procedimento, senza trafile e sentenze, che gravano sull’efficienza della giustizia civile e arrivano in tempi non certo rapidissimi: lo prevede il decreto legge 132 del 12 settembre scorso, convertito in legge lunedì 10 novembre ed entrato in vigore il giorno successivo. È il cosiddetto divorzio fai-da-te, in attesa del divorzio breve, che farà venire meno, nei casi di separazione consensuale, i tre anni previsti per adesso come termine minimo per sciogliere il matrimonio.
Sono gli avvocati, adesso, i protagonisti della «negoziazione», la caratteristica essenziale della nuova normativa, perché punta a ridurre non solo i tempi ma anche la conflittualità nelle coppie che scoppiano. C’è ovviamente anche un controllo di legalità da parte di un’autorità giudiziaria, non propriamente giurisdizionale, dato che a vagliare la rispondenza degli accordi alla legge non è un giudice ma l’ufficio del pubblico ministero. Nel caso specifico, Luigi e Antonella (i nomi sono di fantasia) hanno dimostrato di essere una coppia senza figli e di non avere attribuzioni patrimoniali da farsi reciprocamente, perché avevano già diviso i beni comuni. Di fronte a questo, al procuratore aggiunto di Palermo, Dino Petralia, non è rimasto da fare altro che prendere atto che le condizioni c’erano: dato il nulla osta, Luigi e Antonella sono da ieri una ex coppia a tutti gli effetti.
«Se invece questa stessa coppia avesse voluto separarsi — dice l’avvocato matrimonialista Caterina Mirto — avrebbe potuto seguire la stessa strada, senza passare dalle udienze previste di fronte al presidente del Tribunale. Anche in questo caso sarebbe stato determinante il lavoro degli avvocati, la negoziazione, vera novità di questa legge». Non si tratta infatti solo di raggiungere un accordo il più possibile vantaggioso per entrambi e dettagliato («Questo si faceva anche prima»), ma di scambiarsi atti, trattare a carte scoperte, visto che il giudice non interviene e — ad esempio — la dichiarazione dei redditi del più facoltoso dei due deve essere messa a disposizione della controparte: ma è materia nuova e l’avvocato Mirto, responsabile per Palermo dell’Aiaf, associazione avvocati per la famiglia e i minori, terrà su questo uno specifico convegno di aggiornamento, il 9 dicembre, nell’aula magna del palazzo di giustizia.
«Lavoro in questo campo da 30 anni e ora — spiega la Mirto — sarà prevista anche una procedura di fronte all’ufficiale di stato civile. È lì che chi è separato da più di tre anni può divorziare anche senza rivolgersi a un avvocato. Naturalmente devono essere rispettate le condizioni di legge: niente figli o, se ci sono, i figli devono essere maggiorenni e autonomi dal punto di vista del reddito. E non ci devono essere attribuzioni patrimoniali». I legali non temono che il ricorso diretto al sindaco e/o all’ufficiale di stato civile tolga loro lavoro: «Queste infatti saranno ipotesi residuali — dice il responsabile Aiaf di Palermo — non ci saranno grandi numeri». Perché nella normalità dei casi ci sono anche figli, figli che possono essere minori o disabili gravi (e scattano garanzie ulteriori), rapporti patrimoniali da sistemare e il ricorso ai professionisti del settore appare una garanzia per marito e moglie. Quando si ricorre alla negoziazione c’è dunque un potere e una responsabilità molto ampi per gli avvocati, dato che gli accordi sono immediatamente esecutivi.
Ma un ruolo di verifica e di ulteriore garanzia viene giocato anche dalla Procura: «Questo avviene se c’è contrasto tra i coniugi — dice il pm Petralia — e in particolare per i casi in cui ci sia disaccordo sui figli minori o sui rapporti patrimoniali. Se ricorrono queste condizioni o se riteniamo che l’accordo non sia vantaggioso per i figli, esprimiamo un parere e rimettiamo la questione al Tribunale». Si torna cioè all’antico, o quasi, all’intervento del giudice vero e proprio, che entra nel merito, valuta e alla fine decide. E addio divorzio fai-da-te. La filosofia delle nuove norme, inserite nel decreto sul processo civile e accompagnate da altre regole che non c’entrano niente col diritto di famiglia, è quella di ridurre il carico di lavoro dei tribunali, in cui separazioni e divorzi rappresentano una buona fetta del carico di lavoro e dell’arretrato civile: «C’erano ragioni di necessità e di urgenza — chiosa Petralia — ed ecco perché il governo ha fatto ricorso al decreto legge. E il fatto che la legge di conversione sia entrata subito in vigore risponde a questa logica, di ridurre al più presto l’abitudine di ricorrere alla giurisdizione sempre e comunque, pure nei casi pacifici e semplici».
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