Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Ars, Ko la norma per assumere medici non obiettori di coscienza

La legge 23, primo firmatario il Dem Dario Safina, prevedeva appunto che ogni manager potesse creare reparti ad hoc assumendo nuovi medici che si dichiarino non obiettori

Va Ko la norma che avrebbe consentito ai manager di Asp e ospedali di assumere medici non obiettori di coscienza per rafforzare i reparti di ginecologia assicurando così il diritto ad abortire.
Il governo nazionale ha impugnato una delle leggi più discusse varate dall'Ars a giugno. Nata su input del Pd che intendeva rimediare alle difficoltà denunciate da varie associazioni di volontariato, secondo le quali nelle strutture pubbliche almeno l'85% dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza impedendo così alle donne che ne fanno richiesta di abortire.

La legge 23, primo firmatario il Dem Dario Safina, prevedeva appunto che ogni manager potesse creare reparti ad hoc assumendo nuovi medici che si dichiarino non obiettori. Ma per il governo Meloni ciò viola le regole sull'accesso alle strutture pubbliche e la parità di trattamento. Da qui l'impugnativa.

E un'altra impugnativa ha riguardato un articolo della manovra bis (formalmente legge 26), varata anche questa a giugno, che stanziava 15 milioni per aumentare i budget dei laboratori di analisi, da tempo in piazza contro i tagli decisi dal governo nazionale. Dunque la protesta, che spesso ha portato anche il rifiuto di effettuare prestazioni dietro presentazione del tradizionale ticket facendo quindi pagare il paziente, potrebbe ripartire.

Cosa dice l'impugnativa

«Il comma 3 dell’art. 6 della legge regionale prevede che l'autorizzazione regionale di spesa è destinata a incrementare la spesa regionale per l’assistenza specialistica ambulatoriale da privato per il 2025, non considerando che gli effetti dell’intervento regionale ricadrebbero necessariamente anche sulla remunerazione delle strutture pubbliche, in relazione alla quale non si prevede apposita copertura finanziaria - si legge nell’impugnativa - La Regione Siciliana è sottoposta alla disciplina del piano di rientro dal disavanzo sanitario e in tali termini è chiamata ad abrogare i provvedimenti legislativi che contrastino con l’attuazione del piano di rientro» e «non può erogare livelli di assistenza superiori ai Lea, come anche ricordato dalla Corte costituzionale».

Il CdM sottolinea che "una Regione, qualora intenda prevedere importi tariffari superiori alle tariffe massime nazionali, dovrà sottoporre la programmazione annuale previsionale 2025 al tavolo di
monitoraggio, dando evidenza dell’impatto derivante dall’incremento delle tariffe oltre il massimo nazionale, così da assicurare in ogni caso il rispetto dell’equilibrio economico-finanziario del sistema sanitario regionale».

Ma la Regione «ha trasmesso il 17 marzo 2025 il conto economico consolidato preventivo 2025 dal quale si evince un disavanzo del sistema sanitario regionale pari a 216,790 milioni di euro, in
assenza di ogni evidenza dell’impatto derivante dall’incremento delle tariffe oltre il massimo nazionale». «Pertanto la Regione non ha attuato i menzionati adempimenti propedeutici alla
fruizione della deroga in oggetto» e «non ha fornito alcuna evidenza degli impatti eventualmente derivanti a consuntivo in caso di mancato rispetto dell’equilibrio di bilancio del sistema
sanitario regionale».

In sostanza per il CdM, «non risultano garantite né la copertura dei nuovi costi indotti dalla legge regionale, né la compatibilità con il piano di rientro».

Russo-Varchi: «La legge violava l’articolo 117 della Costituzione, che garantisce i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza»

«L’obiezione di coscienza rappresenta l’espressione più autentica della libertà personale, religiosa, morale e intellettuale. Per tale motivo apprendiamo favorevolmente l’impugnativa da parte del consiglio dei Ministri della legge 23 del 5/06/2025 della Regione Siciliana che prevedeva l’assunzione negli ospedali pubblici di assumere medici e altro personale non obiettore di coscienza». A dichiararlo sono il senatore e capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione insularità Raoul Russo e Carolina Varchi, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera in commissione giustizia.

«La legge violava l’articolo 117 della Costituzione, che garantisce i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso. La legge 194 del ’78 - aggiungono Russo e Varchi - garantisce appieno tutti i diritti in campo ed in Sicilia non vi è alcun problema legato alla sua concreta applicazione. La legge impugnata da Roma, pertanto, aveva un carattere strumentale». «Noi non siamo contro l’obiezione di coscienza che non è solo una questione di principio ma anche uno strumento concreto di tutela della dignità umana, della pluralità delle coscienze e della convivenza democratica, ma - concludono Russo e Varchi - va garantita a tutti la possibilità di partecipare ad un concorso pubblico»

 

Caricamento commenti

Commenta la notizia