
Sguardo fisso sull’aula, la voce che si ostina a tenere calma è tradita dalle mani che gesticolano nervosamente. Gaetano Galvagno ha parlato anche col corpo. E ha annunciato la strategia, almeno quella politica: «Da più parti mi è stato chiesto di fare un passo indietro. E rifletto sul fatto che non sono attaccato alla poltrona ma se decidessi di dimettermi finirei per affermare il principio che un messaggio diffuso sui social sia più forte della Costituzione. Ricordo che l’indagine è ancora in corso, non chiusa, e che ci saranno eventualmente più gradi di giudizio».
Dunque avanti (piano) in attesa degli sviluppi dell’inchiesta che lo vede indagato per corruzione e peculato. Nel mirino c’è finito per l’uso disinvolto, secondo la Procura di Palermo, dei fondi pubblici destinati ad associazioni e fondazioni amiche.
E lui dallo scranno più alto di Sala d’Ercole ha risposto che «mai ho svolto la mia funzione di presidente dell’Ars per vantaggi personali». Rivendicando di aver contribuito a varare Finanziarie che hanno messo in circolo nell’economia 13 miliardi. E che da un certo momento in poi ha suggerito di non erogare più fondi ad associazioni ma «solo ai Comuni, che sono soggetti alle regole delle gare pubbliche».
E tuttavia le intercettazioni filtrate in queste due settimane hanno mostrato un profilo molto diverso.
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