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Open Arms, Salvini: «Il processo un attacco al governo, a Pontida sarà lotta»

Replica il magistrato Giuseppe Santalucia, presidente di Anm: «Di politico c’è solo l’imputato». Pronta la mobilitazione al tradizionale raduno della Lega. E non si esclude una manifestazione di piazza a Palermo

Niente armi per carità, ridimensiona netta Giulia Bongiorno. Né uno scontro a viso aperto con i pm. Ma una battaglia «pacifica e democratica» a difesa di Matteo Salvini, ci sarà. Scandita a tappe, dal prossimo weekend e, di sicuro, fino al 6 ottobre.

Quella domenica, il sacro pratone di Pontida accoglierà di nuovo il popolo della Lega per il tradizionale raduno bergamasco e stavolta avrà una causa in più da sostenere: la difesa della libertà. Quella del suo segretario, prima di tutto. Messa a rischio da «un tentativo della sinistra di attaccare il governo e il diritto alla difesa dei confini nazionali».

Salvini descrive così i sei anni di carcere che rischia, per l’accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. È quanto gli contesta la procura di Palermo per aver impedito lo sbarco di 147 migranti dalla nave Open Arms a Lampedusa, da ministro dell’Interno nel 2019.

Ora la Lega fa scudo attorno al suo leader. E in un consiglio federale convocato d’urgenza, 48 ore dopo la requisitoria dei pm, il partito traccia la linea. Un po’ difensiva e parecchio di attacco, è l’impressione.

«Si tratta di un processo politico», arringa i suoi il Capitano, a inizio riunione. Tesi che il presidente dell’associazione magistrati smonta: per Giuseppe Santalucia, di politico c’è solo l’imputato ma «non è un processo alla politica» perché, rimarca, «in un sistema di democrazia costituzionale come il nostro, anche un ministro può essere soggetto a controlli di legalità». Quindi l’ipotesi che «la magistratura si arresti di fronte a politica e politici sarebbe incostituzionale», taglia corto il magistrato a La7.

Intanto la Lega va avanti. E nella riunione di un’ora definisce un battage con gazebo nelle piazze dal prossimo weekend e nel successivo. Così fino a Pontida, che il numero due di Salvini, Andrea Crippa promette sarà «vivace» e «internazionale». Invitati i principali alleati internazionali: da Marine Le Pen (che fu la super ospite l’anno scorso) all’olandese di ultradestra Geert Wilders. Un marcamento, serrato nei toni e stretto nei tempi, per tenere alta la causa con elettori e militanti. E non si esclude che possa essere un crescendo verso una grande manifestazione di piazza a Palermo il 18 ottobre.

Quel giorno è prevista l’arringa di Giulia Bongiorno, avvocato di Salvini (oltre che senatrice della Lega), nell’aula bunker di Palermo dove si celebra il processo. Un luogo più che simbolico per la giustizia in Italia. Forte, allora, la tentazione di «una chiamata alle armi» a tutti i leghisti per blindare - anche fisicamente - il leader a ridosso del suo momento più difficile. Inevitabile il ricordo di tutta Forza Italia davanti al palazzo di giustizia di Milano nel 2013 a difesa di Berlusconi, a processo per il caso Ruby. Un’immagine che però lascia scettici molti leghisti preoccupati dal confronto.

Per Salvini, la sentenza di primo grado arriverà dopo le cosiddette «udienze di repliche», ricorda Bongiorno, forse «dopo una settimana o due». In ogni caso la legale di Salvini impone cautela: «Non c’è nessuna voglia di acutizzare scontri con la magistratura. C’è assoluta e piena fiducia nei confronti della magistratura» ma insiste «in questo processo ci sono alcune anomalie» ossia «si è focalizzata l’attenzione sul singolo caso» pur essendoci stati altri precedenti.

Intanto, oltre al sostegno degli alleati di governo in Italia, il vicepremier leghista incassa la rinnovata vicinanza di Viktor Orban: il presidente ungherese lo incorona «il patriota più coraggioso d’Europa» e soprattutto «il nostro eroe!» parlando a nome dei sovranisti probabilmente. In un tweet aggiunge che è stato «punito per aver fermato l’immigrazione» e che «coloro che difendono l’Europa vengono costantemente penalizzati». Il Capitano lo ringrazia annunciando: «Ci vediamo venerdì nella splendida città di Budapest» (l’occasione sarà il vertice informale dei ministri dei Trasporti nella capitale ungherese) e assicura: «Il processo e le minacce non fermeranno il vento del cambiamento e della libertà che soffia in Europa».

In serata ospite di «Quarta Repubblica» il ministro ha ribadito: «Non patteggio perché ritengo di aver difeso la sicurezza del mio paese e di aver mantenuto la promessa elettorale di fermare gli sbarchi».

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