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Piantedosi a Palermo per commemorare Dalla Chiesa: «Anche dopo 42 anni il suo esempio suscita un impegno autentico e profondo»

Il ministro, assieme a istituzioni e forze dell'ordine, sul luogo in cui Cosa nostra uccise il generale assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista Domenico Russo. Poi la messa in Cattedrale

Rappresentanti politici, forze dell’ordine e cittadinanza, tutti insieme per celebrare il ricordo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nel luogo in cui, 42 anni fa, Cosa nostra lo uccise insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’autista Domenico Russo, in via Isidoro Carini, a Palermo. Per onorarlo sono state deposte diverse corone di fiori attorno alla targa che lo commemora: presenti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il presidente della Regione Renato Schifani, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, il prefetto di Palermo Massimo Mariani, il presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca, il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, il procuratore generale della Corte d’Appello Lia Sava e il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Teo Luzi. il presidente dell’Antimafia regionale Antonello Cracolici. Presenti anche Nando e Simona Dalla Chiesa, figli del generale, e gli altri rappresentanti delle forze dell’ordine.

«Sono qui a Palermo - ha detto il ministro Piantedosi nel suo intervento in Cattedrale durante la celebrazione officiata dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice - a rappresentare l’intero governo nazionale. Il ricordo della strage di via Carini continua a interpellare le coscienze di ciascuno con una forza che supera l’esercizio di un doveroso atto di memoria. Questo perché il ricordo di Carlo Alberto Dalla Chiesa è straordinariamente vivo. C'è qualcosa, nel suo esempio, che ha saputo suscitare, e suscita ancora a distanza di 42 anni dalla morte, il senso di un impegno autentico, profondo, incondizionato».

Secondo il responsabile del Viminale, «la figura di Dalla Chiesa si staglia in maniera emblematica su larga parte della storia repubblicana del nostro Paese. Gli ultimi mesi come prefetto di Palermo sono solo l’ultimo breve capitolo di una vita dai tratti eccezionali al servizio del bene comune. Carabiniere figlio di carabiniere, ufficiale dall’impegno intenso e assoluto ovunque sia stato richiesto il suo servizio. Carlo Alberto Dalla Chiesa negli anni più duri nel contrasto al terrorismo prima e alla mafia poi ha saputo parlare agli uomini, alle donne ai cittadini e alla comunità».

«Il 2 giugno del 1982 - ha raccontato Piantedosi - nella ricorrenza della festa della Repubblica il prefetto Dalla Chiesa incontrò gli studenti del liceo Gonzaga di Palermo. A essi lanciò la proposta di un impegno comune contro la mafia. Quei ragazzi gli avevano indirizzato una lettera di benvenuto ringraziandolo per avere accettato un incarico tanto oneroso quello appunto di prefetto di Palermo».

«Quei giovani studenti - ha aggiunto il ministro - avevano riconosciuto nel nuovo prefetto della loro città un uomo di autentica passione civile. Quegli alunni avvertendo la difficoltà dell’impegno di Carlo Alberto Dalla Chiesa andavano al cuore del problema, la mafia era molto più del compimento di azioni violente, della prevaricazione della spartizione di patrimoni accumulati illecitamente. Gli allievi del liceo Gonzaga avevano già ben chiaro quando ancora si stentava a parlare di criminalità organizzata che la mafia era ed è negazione dei diritti di cittadinanza, negazione dei diritti di libertà potere eversivo che si oppone ai diritti sancita dalla carta costituzionale - ha osservato Piantedosi -. Quei ragazzi avevano scelto un interlocutore di cui si fidavano e a cui offrivano il loro aiuto scrivendo queste parole desideriamo quindi di dirle che il suo operato per la difesa dei diritti umani e civili non passa inosservato ai nostri occhi a quelli di tutti i giorni al contrario tutti che noi non soltanto una grande sfida verso la sua persona ma soprattutto il desiderio la volontà di dare un rapporto costante concreto alla nostra comunità cittadina sulla base di un lavoro attivo disinteressato. Credo che la freschezza di quella lettera abbia ancora tanto da insegnare. Ci dice che agli occhi più giovani sono attenti che sanno distinguere il bene dal male che stava a scegliere le persone di cui potersi fidare. Sicuramente quella lettera ha emozionato il prefetto Dalla Chiesa Cattolica ha subito voluto incontrare quei ragazzi e poi tanti altri ancora. Il generale aveva presente quanto sia importante parlare ai giovani e di coinvolgerli nell’impegno quotidiano a tutela dei valori».

«Oggi, nel 42esimo anniversario della barbara uccisione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, ho voluto rendere omaggio a un uomo che ha rappresentato con coraggio e determinazione lo Stato nella sua lotta contro la mafia», ha detto invece il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, che questa mattina ha deposto una corona d’alloro sul luogo della strage. «Il generale Dalla Chiesa, con la sua integrità e il suo impegno incrollabile, ha pagato con la vita il prezzo del suo senso del dovere e della sua fedeltà alle istituzioni», ha aggiunto. «In questo giorno - ha proseguito Schifani - il mio pensiero va anche a sua moglie, Emanuela Setti Carraro, e all’agente Domenico Russo, vittime innocenti della mano mafiosa. Il loro sacrificio non può essere mai dimenticato. È nostro dovere continuare a ricordare e a tramandare la memoria di questi eroi, affinché il loro esempio sia guida per le future generazioni».

«Carlo Alberto Dalla Chiesa - ha detto il sindaco di Palermo Roberto Lagalla - è stato uno degli esempi più alti di uomo dello Stato, fedele alle istituzioni. A 42 anni dall’attentato nel quale hanno perso la vita anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, deceduto alcuni giorni dopo, è doveroso ricordare il generale dei carabinieri che ha combattuto il terrorismo e che, poi, da prefetto di Palermo, non ha esitato a dare il suo contributo nel contrasto alla mafia. Una sfida che si è poi rivelata tragica, ma il suo metodo di lavoro resta ancora oggi un faro per la magistratura e le forze dell’ordine che conducono le indagini e il suo esempio, anche sotto il profilo umano, rappresenta un’ideale eredità di comportamento per la società civile, le giovani generazioni e le istituzioni».

 

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