Il concetto è chiaro, almeno per chi guida la cabina di regia istituita da Palazzo d’Orleans con l’obiettivo di arginare la crisi idrica che schiaccia la Sicilia: la clessidra è agli sgoccioli, i soldi ci sono e, dunque, bisogna agire immediatamente per attuare il Piano d’emergenza approvato da Roma poco più di una settimana fa.
Insomma, nessuno può accampare scuse. È questo il messaggio che il capo della Protezione civile regionale, Salvo Cocina, ha rilanciato ieri ai soggetti attuatori del cronoprogramma in questione, riuniti in un vertice convocato insieme ai prefetti delle province più colpite dallo stato di siccità severa, ossia Agrigento (nella foto i cittadini riempiono i bidoni alla fontana di Bonamorone, nella città dei Templi), Enna, Caltanissetta, Trapani e Palermo: «Non c’è più tempo da perdere», i 20 milioni di euro in arrivo da Roma come prima tranche di aiuti, per trivellare o riattivare nuovi e vecchi pozzi ed evitare che paesi e città restino a secco durante l’estate, devono essere subito messi a terra dai singoli municipi chiamati in causa, dai Consorzi di bonifica, dagli enti delegati alla gestione del servizio idrico e soprattutto dalle Ati, le Assemblee territoriali idriche formate dai Comuni, responsabili dell’approvvigionamento e della diffusione dell’acqua potabile, che hanno in mano la fetta più grossa del Piano d’emergenza, ma che a tutt’oggi, per buona parte delle opere, non hanno ancora i progetti pronti, pur contando su tutte le deroghe consentite dalla crisi e sulle risorse necessarie per avviare i cantieri.
Difatti, anche se la Regione, per vedere liquidati in cassa i 20 milioni di euro del governo nazionale, dovrà attendere ancora qualche giorno, Cocina ha già provveduto alle determine, stanziando, di fatto, i fondi, e in certi casi – come per l’acquisto di due autobotti nell’Agrigentino da 130mila euro - dando disponibilità economica per nuovi interventi rispetto a quelli delineati nel cronoprogramma presentato a Roma, stavolta con somme di fonte regionale, che andranno inserite in bilancio attraverso la «manovrina» incardinata all’Ars per un totale di altri 20 milioni di euro circa. Per adesso, spiega il capo della Protezione civile siciliana, solo pochi soggetti attuatori hanno avviato i lavori.
Nell’elenco, per esempio, c’è la città di Trapani, che per garantire il suo fabbisogno di 100 litri al secondo ha bisogno del revamping di quattro pozzi, indicato nel Piano al costo complessivo di circa 300mila euro e avviato dall’amministrazione comunale con procedura di somma urgenza. A buon punto anche, anzi, soprattutto Siciliacque, che già da settimane ha avviato le opere che le spettano anticipando la spesa, completando sette su 14 interventi, mettendo in rete il 50% dell’acqua prevista e rendendo così indipendenti dal lago Fanaco (ridotto ormai a pozzanghera) tutti i Comuni palermitani di sua competenza, mentre anche l’Amap si è mossa. Per quasi tutti gli altri soggetti attuatori, invece, il Piano non è decollato.
Per questo, rimarca Cocina, «durante l’incontro abbiamo pungolato tutti i presenti, in particolare le Ati - che, va ricordato, non sono organi di controllo ma di governo del sistema idrico – per accelerare quantomeno i lavori che non hanno bisogno di pareri ambientali, come la riattivazione dei pozzi», e soprattutto nelle zone che presentano maggiori criticità, come l’Agrigentino, che da giovedì scorso, su disposizione del governatore Schifani, ha un tavolo d’emergenza dedicato, e che ha la parte più consistente di interventi, pari a sei milioni, con un’opera in particolare da oltre quattro milioni di euro: la realizzazione del pozzo Monnafarina e della condotta di adduzione all’acquedotto Voltano a Castronovo di Sicilia, divisa adesso in più lotti perché di non facile realizzazione.
Ma la sferzata riguarda anche le altre province invitate al vertice, «perché il loro sistema idrico», ricorda Cocina, «è interconnesso, e se un soggetto attuatore di un territorio ritarda il cronoprogramma, vanifica tutto il lavoro degli altri».
Nel vertice sono emersi anche altri problemi, come quelli del furto d’acqua e, nel Nisseno, dell’aumento delle tariffe del servizio di rifornimento idrico da parte di alcune aziende di autobotti, perlomeno in quelle ditte private (11 su 22) che non hanno stipulato prezzi calmierati con l’ente gestore. Se ne occuperà il prefetto.
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